Opinioni

Il vero elettore nel Conclave e il compito degli uomini di Dio. Il soffio dello Spirito e la tentazione del «mio»

Umberto Folena lunedì 11 marzo 2013
​Fate largo allo Spirito Santo. Il primo, unico, autentico grande elettore è Lui, al Conclave che si apre, con la chiusura del portone della Sistina, martedì prossimo. Stampa, tv e web possono esercitarsi quanto vogliono in elucubrazioni, deduzioni, manovre e pronostici, sulla cui eleganza è meglio sorvolare. Ma la verità indiscutibile è che le chiavi di San Pietro sono in mani sicure e collaudatissime. Quelle dello Spirito. Con un però.In questa circostanza, come in innumerevoli altre, lo Spirito Santo ha bisogno di collaborazione. Gli uomini infatti sono liberi. Liberi di accoglierlo, svuotando felicemente se stessi – delle proprie paure, speranze, ambizioni – per fargli spazio e consentirgli di agire, soffiando amore e sapienza nei cuori. E i cardinali riuniti nella Cappella Sistina sono uomini di Dio, ma pur sempre uomini. Quella dello Spirito Santo è, chiedendo scusa per l’ossimoro, una «forza debole», immensa e debole. Ha bisogno di un sì generoso, di un atto di umiltà e fiducia da parte dell’uomo. Questo allora noi semplici fedeli – assieme agli uomini che, pur non considerandosi parte della comunità ecclesiale, guardano alla Chiesa con speranza e simpatia – possiamo chiedere ai nostri cardinali, per questo possiamo pregare: che lo Spirito Santo trovi cuori docili in cui possa scivolare dolcemente.Il problema – perché un problema c’è, trattandosi pur sempre di cose umane, oltre che divine – è che se in azione è lo Spirito, in movimento è anche il Nemico. Il Diavolo esiste e attende un Conclave con lo stesso gusto con cui Napoleone attendeva una battaglia campale. Come agisca in queste circostanze l’ha descritto argutamente Clive S. Lewis, il professore oxfordiano amico di J. R. R. Tolkien. Circa 70 anni fa scriveva le Lettere di Berlicche, raccolta di consigli che un alto funzionario dell’Inferno impartisce al nipote Malacoda, incaricato di traviare un giovane londinese. Berlicche conosce alla perfezione l’animo umano e le sue possibile brecce. Così suggerisce: il senso del possesso va incoraggiato, negli uomini. Mediante la confusione attorno al significato dell’aggettivo possessivo «mio». Dalle «mie scarpe» alla «mia famiglia», i miei figli e il mio coniuge, la mia azienda, la mia patria, la mia comunità... il mio Dio. Tutti vanno ridotti al «mio» delle mie scarpe, al «mio» della proprietà privata indiscussa: «mio», ossia che mi appartiene e di cui posso disporre come mi pare. In realtà, osserva Berlicche beffardo, gli uomini si accorgeranno un giorno che nulla è realmente «loro», nemmeno la vita. Ma intanto incoraggiamoli.La Chiesa è di Cristo, e sua soltanto. E tutti noi, laici e presbiteri, cardinali compresi, apparteniamo a Lei, non viceversa. Lo Spirito Santo, per poter soffiare come sa, ha bisogno soltanto di questo. Che la tentazione diabolica del «mio» della proprietà, esteso indebitamente, rimanga fuori, extra. La porta chiusa sia quindi una porta sbattuta in faccia a Berlicche e ai suoi scherani, comunque siano camuffati e armati (persino di titoli di giornale). E sia una porta spalancata al soffio dello Spirito. Affinché diventi Papa chi Lui vuole, Lui e nessun altro.<+copyright>