Opinioni

Le riforme da fare. Il referendum anti reddito di cittadinanza non avrebbe alcun senso

Roberto Rossini sabato 17 luglio 2021

Caro direttore,
continuano, senza sosta, prese di posizioni e articoli che si scagliano contro il Reddito di cittadinanza (Rdc), accusato di aver tradito quanto promesso, ossia 'abolire la povertà'. Ora si intende abolire il Rdc: così si tradiscono i poveri. Intendiamoci, la promessa di 'abolire la povertà' non era credibile – e infatti il Rdc non l’ha fatto – e il Rdc stesso – come 'Avvenire' ha segnalato in diverse occasioni – ha dei lati deboli sui quali è necessario intervenire. Infatti l’Alleanza contro la povertà non ha mai risparmiato di sottolineare gli aspetti critici del provvedimento e di suggerire le proposte per modificarli, con franchezza e con competenza. Ma da qui ad abolire tutto un sistema, ne passa.

Perché in Italia dobbiamo buttare via tutto, ripartire sempre da zero, senza far tesoro del positivo e scartando il negativo? Perché avere un approccio rivoluzionario quando invece un sano riformismo ci farebbe procedere per via incrementale? L’errore era già stato fatto prima. Fu infatti traumatico veder sostituire il Reddito di inclusione (Rei) col Rdc. Il Rei aveva un’elaborazione teorica ed esperienziale molto ricca, raccolta dall’Alleanza contro la povertà e resa norma giuridica dal precedente Parlamento e dal governo Gentiloni, nel 2017. Ma ecco lo choc: nel 2019 il governo giallo-verde sostituiva il Rei col Rdc, promuovendo un approccio sensibilmente diverso e introducendo per la terza volta in tre anni una misura contro la povertà.

In realtà in quattro anni abbiamo avuto quattro misure contro la povertà: si è passati dal Sia (2016) – il Sostegno per l’inclusione attiva (creato dal ministro Giovannini, a quel tempo responsabile del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) – al Rei (2017) e al RdC (2019), ora affiancato dal Rem, il Reddito di emergenza (2020). Forse, più che di referendum, occorrerebbe procedere – in modo più pratico, più smart – fermandosi, raccogliendo gli esiti delle quattro politiche e mettendo a posto quanto non va bene. Tanto ciò che serve lo sappiamo: basta solo la volontà politica di procedere. Il 2020, oltre ai morti, ci ha portato quasi un milione di poveri in più: ora in totale siamo a 5,5 milioni, in Italia. Le pandemie hanno spesso avuto un effetto livellante sul piano socio-economico, ma non è stato così per il Covid-19, che ha invece ampliando le diseguaglianze esistenti. Dunque se non fossero state varate alcune misure – dal blocco dei licenziamenti alla cassa integrazione in deroga, dall’estensione della durata dei sussidi di disoccupazione al bonus per gli autonomi, dal Rdc al Rem – non avremmo 'solo' un milione di poveri in più, ma – secondo i nostri calcoli – quasi tre milioni.

Che fare, allora? Il giornale che lei dirige ha indicato a più riprese i punti cardine di una necessaria riforma. E l’Alleanza di cui sono portavoce ha chiaro che serve una revisione su tre livelli del Rdc. Il primo livello riguarda l’accesso al provvedimento per alcune categorie ingiustamente penalizzate, come le famiglie con minori (tenendo presente anche l’introduzione del nuovo Assegno unico universale), gli stranieri e le situazioni sociali indebolite proprio dalla pandemia. Il secondo livello è del welfare locale, da rafforzare nella presa in carico dei soggetti in povertà, a partire da qualche idea da mettere in campo per un’analisi preliminare dei casi per garantire un’assistenza puntuale, duratura ed efficace. Il terzo e ultimo livello è quello delle politiche attive, di upskilling e reskilling, e di incentivazione al lavoro, ossia i cosiddetti in-work benefit.

Attualmente chi accetta un lavoro non perde il Rdc, gli viene solo sospeso. Ma, come il 14 luglio scorso ha argomentato Leonardo Becchetti, occorre introdurre anche altre forme di incentivo, per rassicurare chi può lavorare, per esempio consentendo un parziale cumulo tra reddito ricevuto/guadagnato e sussidio, sia per coloro che entrano nel mercato del lavoro sia per coloro che già svolgono qualche attività disponendo però di un reddito troppo basso. Invece vale la pena di ricordare che, oggi, se un beneficiario del Rdc rifiuta delle «offerte di lavoro congrue» perde il sostegno, e quindi il timore vero – per cui dovrebbe essere cumulabile – è di trovarsi espulsi dal mercato del lavoro e senza più Rdc: una linea troppo punitiva. Infine, vale la pena di sottolineare un fatto che continua a non apparire nella cronaca politica che discute di povertà: esistono persone che non possono lavorare.

Vi sono poveri che sono tali proprio perché non sono in grado di poter lavorare in quanto colpiti da una malattia mentale, da una malattia del corpo, da una dipendenza, da una condizione familiare molto difficile. È per questo che, quando ci si avvicina alla povertà, occorre farlo con l’attenzione che serve e il provvedimento che vale. Abbiamo ora l’occasione di ritornare sul tema della povertà, perché l’agenda politica lo ha rimesso in luce. È un problema vero, duro, impegnativo: forse è anche ingiusto parlare di povertà, perchè in realtà dovremmo parlare di poveri, di cittadini impoveriti o impietriti da situazioni più grandi di loro. L’Alleanza contro la povertà ha elaborato dati e strategie e le mette a disposizione di chi intende seriamente considerare come contrastare la povertà.

Portavoce Alleanza contro la povertà