Opinioni

L’amore che ci giudica e il dovere di affrontare le tentazioni. Il peccato non è banale e con il male ci si deve battere

Elio Guerriero domenica 28 febbraio 2010
Furono i profeti a stabilire una prima analogia tra il deserto e la vita spirituale. Osea lo paragonò al luogo della prima tenerezza, lì dove Dio aveva raccolto il suo popolo e stipulato l’alleanza. Per Geremia, invece, era il luogo dell’ira ardente di Dio. Questa ambivalenza attraversa l’intero Antico Testamento e si ripresenta nella vita di Gesù. In rispondenza ai quaranta anni dell’esodo, i quaranta giorni di Gesù nel deserto sono il passaggio obbligato per dimostrare che l’uomo può effettivamente lasciare dietro di sé il diavolo e le inclinazioni malvagie che il nemico cerca di coltivare come altrettanti vincoli che tengono la creatura sottomessa al suo dominio. Gesù è Dio, ma anche uomo. Per cui la sua tentazione è autentica. Egli sperimenta l’attrattiva del male non verso qualche piccola soddisfazione sensibile, ma più profondamente verso la disobbedienza rispetto alla sua missione. Nella sua libertà egli sceglie la via dell’obbedienza, della sottomissione al Padre, e in questo momento ha già imboccato la strada che lo porterà alla croce. La tradizione cristiana riprende su vasta scala il tema del combattimento spirituale per sconfiggere l’attrattiva del male. È nota la definizione di san Benedetto: la vita monastica è una scuola per servire il Signore, una palestra dove apprendere la fatica dell’obbedienza. Non è una via aspra e gravosa. La difficoltà sta nella decisione iniziale perché «quando si procede nella vita monastica e nella fede, allora il cuore si allarga e si corre per la via dei comandamenti di Dio con una inesprimibile dolcezza». A distanza di un millennio sant’Ignazio di Loyola scrive un altro capolavoro della spiritualità cristiana, gli Esercizi spirituali. Lo scopo è la ricerca della divina volontà guidati dallo Spirito di Dio. Previamente, però, sant’Ignazio insiste sul discernimento degli spiriti che richiede paziente attesa, conoscenza della propria anima, un lungo itinerario di purificazione per scegliere secondo il progetto di Dio. Il cammino si impenna se ora consideriamo brevemente la via dei mistici. Come Maria e Giovanni, essi vogliono rimanere sotto la croce di Gesù per fare compagnia al Maestro, ma anche per guadagnare le anime dei fratelli, dei peccatori. Santa Maria Maddalena dei Pazzi si dichiarava pronta a offrire mille volte la sua vita per salvare anche una sola anima, mentre Maria des Vallées per lo stesso scopo si diceva disposta a subire la collera divina. Su questa stessa via, bisogna cogliere una variante messa in risalto da due santi sacerdoti a noi relativamente vicini: il Curato d’Ars e san Pio da Pietrelcina. Come lascia intendere Bernanos, san Giovanni Maria Vianney si sforzava di seguire Gesù nella discesa agli inferi, che fece di lui l’agnello di Dio, il capro espiatorio che porta via i peccati del mondo. Certo, dopo il Vaticano II è stato giustamente messo l’accento sulla misericordia di Dio. Ugualmente, però, non bisogna dimenticare l’invito di C.S. Lewis a non banalizzare il peccato perché proprio questa è la tattica suggerita dal vecchio Berlicche al giovane aspirante Malacoda. Diceva san Massimo il Confessore: «Anche se Dio giudica, a torto viene giudicato dai giudicati, giacché egli è essenzialmente amore e viene chiamato amore». Non possiamo allora ignorare l’invito dell’amore, né possiamo dimenticare quanto è costato al Figlio riaprire la via che ci riporta alla casa del Padre.