Opinioni

Il partito dei violenti. Fatti, slogan assurdi, gravi domande

Maurizio Fiasco martedì 31 luglio 2018

Dopo la mortale “caccia al ladro” in provincia di Latina, e l’agitazione per le “armi al popolo” da impegnare in ronde di autodifesa, forse è il caso di argomentare in positivo e porre direttamente il quesito agli italiani. Volete correre il pericolo di tornare a un passato buio e nefasto? Volete tornare a stagioni, non troppo lontane, quando nelle strade delle nostre città l’esperienza quotidiana era di assistere a violenze gravi?

Già, perché tra il 1990 e il 2017 – dato clamoroso, ma contrario alla retorica di certi mass media e di troppa politica – gli omicidi volontari che ogni anno si registrano sono diminuiti per l’ottanta per cento. Da circa 2.000 del 1990 a 355, dato a consuntivo del 31 dicembre 2017. Milleseicento ammazzamenti in meno, ogni dodici mesi. Un tasso di omicidi volontari che è pari a un decimo di quello degli Stati Uniti.

Sì dirà, che peso possono avere le informazioni razionali davanti a una sollecitazione emotiva? Bisogna rispondere al quesito ponendosi nella sfera quotidiana delle persone in tutte le latitudini del Bel Paese. E misurarsi con il problema seriamente, perché se si infrange il monopolio statale della forza, e quindi si apre la valvola che dà fiato all’autogestione della “violenza difensiva”, tutte le persone saranno esposte a un grave pericolo. Le liti tra vicini – per il latrare di un cane in un condominio, per i rumori molesti di notte, per sconfinamenti anche di un metro del limite della proprietà privata – potranno sfociare nella violenza personale, per futili motivi.

Già accade, ma sono cronache poco appetibili per la trattazione “criminologica” nei talk show. Eppure il panorama della violenza omicidiaria è segnato da un numero consistente di simili episodi: senza appeal per certe amene trasmissioni tv ossessivamente concentrate su altri spicchi di “cronaca nera” che radicano, soprattutto negli anziani, la convinzione di una minaccia prossima e incombente. La violenza privata risulta moralmente legittimata dalla retorica dell’allarme, come riflesso di una vittimizzazione proiettiva indotta nelle famiglie dei borghi e dei caseggiati urbani.

Potremmo chiamarla il “paradigma di Erba”, dal luogo della violenza stragista estrema degli “ordinari” coniugi Olindo e Rosa: il ricorso all’annullamento del vicino fastidioso si collocherà alla portata psicologica di molti, di troppi che ruminano pulsioni aggressive estreme. In una spirale che può finire fuori controllo. Lo scrivo su questo quotidiano, che purtroppo è ancora troppo solo nel proporre una resistenza morale e civile al “partito dei violenti”: una politica incline agli slogan e a un simmetrico giornalismo (soprattutto tv) che costruisce l’intrattenimento replicando, pomeriggio e sera, particolari pornografici di omicidi e femminicidi atroci, rilanciando episodi pur avvenuti anche uno o due lustri fa. Trasmissioni e comizi che si contendono come ospite Il Piccolo Uomo di provincia che ha ammazzato il ladro.

E lo esibiscono come un eroe. Fino a quando, beninteso, un giudice non riafferma il primato della legge. Altro dettaglio che la demagogia omette, con il silenzio paradossale di troppi giuristi e uomini politici: il dispositivo della norma sulla legittima difesa è pressoché identico dal codice di Giustiniano ( VI secolo) al codice Rocco (ventennio fascista) e ai nostri anni della Repubblica. L’esimente – circostanza che rende non condannabile chi abbia ucciso per “legittima difesa” – è un dogma rimasto invariato dall’epoca dell’assolutismo a quella del liberalismo fino alle democrazie novecentesche. E, almeno formalmente, persino negli intervalli del totalitarismo fascista o sovietico.

È basilare in una qualsiasi società dove la sovranità dello Stato si fonda anche sul regolato monopolio pubblico della forza. Davvero, se si parlasse alle emozioni e alla responsabilità degli italiani, si troveranno masse plebiscitarie disposte a rinunciare agli approdi del lungo processo di civilizzazione? Al livello di violenza, pervenuto al minimo storico da 4.000 anni a questa parte nella nostra Penisola? Gli operatori turistici e i sindaci sono propensi a oscurare il fattore competitivo dell’Italia qual Paese meno violento dell’Unione Europea? E gli italiani vorranno rinunciare al merito storico di essere la culla della cultura che ha ispirato l’intangibilità della persona umana e della vita? Al contributo che i valori che uomini di fede e maestri laici alimentano nella preziosa e pacifica quotidianità dell’Italia? Soffriamo, e molto, per dieci anni di stagnazione economica, per l’epidemia di fallimenti, per debiti delle famiglie. E si attendono politiche pubbliche capaci di rispondere a queste umiliazioni.

Come pure direttive e orientamenti seri dei titolari della Pubblica Sicurezza – in primis del ministro dell’Interno – sulla qualità dei servizi svolti ogni giorno dalle Forze dell’ordine per la popolazione. Sono decenni che si investe poco per rendere attuale l’enunciato della missione della Polizia, stampato fin dal 1963 in tutte le sedi delle forze dell’ordine: «Nello Stato democratico la Polizia è al servizio del cittadino ». La sua legittimazione “dal basso” consiste in questo. Solo per il tramite di un sano monopolio dello Stato ogni abitante dell’Italia può accedere al “bene” sicurezza. L’alternativa non è un’altra sicurezza, ma ripiombare in anni bui e più violenti. Insomma, se dilapidassimo la nostra particolarmente scarsa (sì, davvero scarsa nonostante le mafie) propensione alla violenza, ci metteremmo definitivamente sulla via del declino.