Opinioni

Il direttore risponde. Terremoto, il male ha bisogno di complici

Marco Tarquinio sabato 3 settembre 2016
​Caro direttore,
credo che la domanda sul senso dell’immane dolore del terremoto sia assolutamente inevitabile, credo che la fede nel progresso tecnologico rischi di azzerare completamente la questione del male e della sofferenza, questione che invece è ineludibile come, se siamo realisti, riscontriamo in quelle dimensioni "piccole" ma oceaniche che sono le nostre malattie e le nostre morti di singoli. In nome del pluralismo capisco la pubblicazione di articoli come quelli di Leonardo Becchetti del 31 agosto 2016, la cui tesi è che un terremoto di 6° grado, se fosse squadernata la tecnologia di cui siamo capaci, non porrebbe il problema del male e del dolore. Ma se anche ci fossero pochi morti per terremoto in un futuro supertecnologico, la domanda si porrebbe lo stesso. E l’immane dolore dei sopravvissuti del terremoto attuale avrebbe come causa il malvagio non uso adeguato della tecnologia da parte di tanti uomini responsabili? Anche se fosse così, ancora di più resta la domanda sul male. Davanti al dolore di una morte improvvisa, all’avvicinarsi della mia morte, so per esperienza quanto sia difficile per me avvicinarmi alla figura di Giobbe, al Cristo nell’orto degli Ulivi, al Cristo della Croce, e dunque alla fede nella Resurrezione, sono strade enormemente difficili, più facile la rabbia, la ribellione, il capro espiatorio. Insomma più facile evitare quanto ci propone l’essenza del cristianesimo, così impopolare oggi. Anche nelle parole dei vescovi chiamati a officiare i funerali ho visto un tentativo di aggirare. Non è impossibile, e si può cominciare a richiamarci alla preghiera , cioè al grido di Giobbe, insieme alla solidarietà che, grazie a Dio, è a tutt’oggi molto tangibile.
Innocenza Laguri
 
Che bella e spigolosa la sua riflessione, cara e gentile amica. Grazie per la generosità e lo slancio con cui l’ha condivisa anche con me e con noi tutti. Posso e voglio solo limitarmi a poche, povere parole. Perché è vero che il male non è aggirabile. E la grande storia dell’umanità (e della santità), così come la piccola esperienza di uomo e di cronista che anch’io ho fatto e faccio, insegnano che quanto più il male si nasconde o lo nascondiamo ai nostri occhi e alla nostra consapevolezza, tanto più si fa forte e prepotente. Proprio come il distruttivo processo tellurico che si è sviluppato dal 2009 a oggi sul nostro Appennino tra l’Aquilano e i monti della Laga (l’abbiamo spiegato e rispiegato su "Avvenire"). Sebbene riconosciuto da uomini di scienza e di coscienza, quel sisma "montante" secondo tempi imprevedibili, ma prevenibile nelle sue conseguenze letali, non è stato considerato e domato a dovere. Poteva essere fatto, per quanto è nelle umane possibilità, e invece non è stato fatto. Questo non assolve né tranquillizza in alcun modo: ci ricorda, duramente e semplicemente, che il male ha bisogno di complici. E riconoscere il peso di queste complicità – come ha fatto efficacemente Leonardo Becchetti e come hanno sottolineato magistralmente i vescovi dei luoghi colpiti dal terremoto – significa affrontarlo con decisione. È vero che «il Signore costruisce la città», ma ci ha voluto corresponsabili. Siamo (o non siamo) noi i suoi operai e le sue operaie. (mt)