Opinioni

Ludopatia e tasse. Azzardo, l'esca avvelenata delle imposte

Renato Balduzzi e Maurizio Fiasco giovedì 5 novembre 2020

Regioni e Comuni coinvolti nella «fiscalità di vantaggio» dai giochi d’azzardo? C’è da restare davvero perplessi sulla proposta del neodirettore dei Monopoli, Marcello Minenna, avanzata pochi giorni fa durante un forum sul «riordino » della materia delle scommesse, dei “casinò di quartiere”, delle lotterie e degli altri cinquanta giochi per denaro distribuiti in 250mila punti di vendita nel Belpaese. C’è da restare perplessi perché si tratta di un’esca avvelenata.

Gli psicoterapeuti la definirebbero un’ingiunzione “a doppio vincolo”: alla quale si può ottemperare solo violandola. Suona così: se tu (Regione, Comune) vuoi tutelare la salute dei tuoi governati, devi prima farli ammalare, cioè devi contribuire alla generale patologia che imprigiona l’Italia da troppo tempo: la dissipazione di 110 miliardi e più di euro in azzardo (così nel 2019) e l’assorbimento di 120 milioni di giornate–uomo per restare incollati al terminale di una slot–machine o allo schermo di un computer, come pure nelle file (assembramenti che proseguono) per puntare al Lotto e al 10elotto, senza trascurare alcun altro azzardo similare.

Lo Stato ti fa partecipare alla distribuzione delle entrate fiscali dell’azzardo e tu, sindaco o presidente di Regione, con quei trasferimenti ci finanzi le cure e, perché no, la prevenzione dei rischi per gli azzardopatici. E così, se le Regioni e gli enti locali accettassero tale dispositivo, finirebbero per autocondannarsi all’inazione e ad entrare in conflitto di interessi con se stessi (seguendo in ciò la non brillante strada percorsa in materia dallo Stato), rendendo molto più difficile proseguire la meritoria attività svolta negli anni scorsi, nel corso dei quali hanno vicariato le amministrazioni centrali nel creare qualche protezione dei cittadini, davanti all’offerta aggressiva di giochi d’azzardo autorizzati, pseudo autorizzati o clandestini che fossero.

Ma torniamo alla vexata quaestio del «riordino». Vi provarono un gruppo di stakeholders (portatori d’interessi di varia natura) con una delega legislativa nel 2014. A pensar male (con quel che segue…) l’operazione–riordino era una forma surrettizia di ostacolare gli effetti che stava provocando il decreto n. 158 del 13 settembre 2012, quell’atto lungamente atteso che, rinnovando l’approccio alla Salute pubblica, aveva tra l’altro offerto una sponda istituzionale agli enti locali per regolamenti e ordinanze contro la saturazione delle città, avvenuta con istallazioni di gambling.

La regia per il decreto delegato di riordino dei giochi era stata attribuita al Ministero dell’Economia, e da questo trasferita ai Monopoli. Un’evidente mancanza di opportunità, per smaccato conflitto d’interesse. Non se ne fece poi nulla, e diciamolo con franchezza: per fortuna. Ma il tentativo viene rinnovato adesso, a quanto pare, con un provvedimento collegato al Bilancio 2021. Già, ma in mezzo ci sono stati sei anni di esperienza, una giurisprudenza amministrativa ragguardevole e un evento storico tuttora in corso: la pandemia di Covid–19. Proprio la tragedia, non ancora rientrata, ha indotto a rinsavire, ripristinando l’ordine logico dei valori pubblici e bilanciando effettivamente la salute, collegata al dovere di solidarietà sociale scritto in Costituzione, con gli altri interessi di rilievo.

Un nuovo paradigma dovrebbe venire a sostituire quello tante volte, e stucchevolmente, riproposto, che recitava così: il gioco d’azzardo in concessione statale è un legittimo esercizio del diritto d’impresa; se in taluni casi (ammessi come “limitati”) può rappresentare un rischio per la salute di persone con pregresse fragilità, allora si prevedono dei “correttivi”, anche stanziando fondi per le cure. Il tutto dentro un “gioco [d’azzardo] responsabile”. Quindi alla macchina delle scommesse si riconosceva la non imputabilità per i danni arrecati alla “fragilità” di alcuni clienti dei giochi. Se ne doveva far carico il Servizio sanitario nazionale! Lo schema era questo (e ci sembra, ma vorremmo sbagliare, che venga replicato dal neodirettore Minenna): prima gli interessi imprenditoriali e fiscali (in posizione one up) e poi, a valle, i riflessi sulla salute (collocata dunque one down). Senza dimenticare il conto errato sui presunti interessi per la finanza pubblica che non tengono conto di una misura più accurata di effetti economici negativi diretti e indiretti.

Ma la pandemia ha imposto un nuovo e costituzionalmente ineccepibile paradigma. Prima di tutto vengono la salute, l’integrità delle relazioni sociali e interpersonali, il quadro generale dell’economia produttiva del Paese, il risparmio, l’utilità sociale del legittimo profitto. Se non confliggono con questi valori di rango costituzionale, si possono autorizzare e regolare tutte le altre attività, purché siano in grado di contenere le “esternalità negative”. Torniamo al “riordino” dei giochi d’azzardo in concessione. Il primo passo per iniziare a discuterne consiste nel fissarne il baricentro, ovvero la verifica essenziale dell’architettura costituzionale che deve reggere la «compatibilità» (da asseverare) di siffatta attività con l’ordinamento e con l’utilità sociale. Il secondo passo è stabilire che la governance sia dei Ministeri di garanzia e tutela (Salute, Politiche sociali). Ovvio che la sequenza logica discende dal modello che si è reso visibile da ultimo con l’esperienza collettiva, drammatica e di alto valore civile a un tempo, di un popolo che fronteggia la diffusione pandemica di un virus letale. Di un Paese che ha accettato, con sofferenza e in generale convinzione, la dimensione di comunità nazionale unita nell’impegno di sconfiggere il vero nemico: il virus, come ci ha saggiamente rammentato il presidente Mattarella.

Fissati rigorosamente i limiti, bilanciati in modo ineccepibile gli interessi, garantita la terzietà della pubblica amministrazione, rispettato il principio di sussidiarietà, si può concertare un nuovo quadro di regole anche per i “giochi con denaro”. Senza furbizie, senza doppi messaggi, senza paradossali ingiunzioni filo–azzardo ai vari livelli dello Stato, nel caso a Comuni e Regioni. Che non sono mere amministrazioni decentrate o locali, ma colonne, dotate di autonomia, dello Stato-comunità.