Opinioni

Il dono rifiutato. I 3mila bimbi profughi rifiutati da Londra

Marina Corradi mercoledì 27 aprile 2016
La Camera dei Comuni britannica ha respinto un emendamento all’Immigration Bill, la legge sulla immigrazione, presentato dai laburisti, che chiedeva di accogliere nel Paese tremila bambini e ragazzi soli, profughi dalla Siria, che si trovano già in Europa. In particolare l’emendamento era prima di tutto volto alla accoglienza di alcune centinaia di bambini e ragazzi profughi, spesso orfani, che vivono ora accampati sulla costa francese, a Calais.  Il governo Cameron era contrario alla approvazione, sostenendo che la Gran Bretagna accetterà, sì, un numero analogo di rifugiati dai campi del Medio Oriente, ma che non vuole incoraggiare i viaggi di minori soli verso l’Europa. La polemica circa l’iniziativa laburista ha acceso gli animi nel Paese, e, se la obiezione di Cameron può apparire ragionevole, è anche evidente che, a Calais come in Grecia, i profughi ragazzini e soli ci sono già, e qualcuno dovrebbe pur farsene carico, a rischio come sono di essere assoldati dalla malavita o di restare vittime di violenze e traffici di ogni tipo.  È singolare come, in una Europa per lo più ragionieristicamente attenta a limitare l’afflusso dei profughi, sia nata la proposta poi bocciata in Camera dei Comuni – benché con meno di venti voti di scarto. A presentarla è stato il laburista Lord Alf Dubs, 83 enne, che arrivò a Londra nel 1939 dalla Cecoslovacchia grazie a un Kindertransport, cioè all’asilo concesso dalla Gran Bretagna a 639 bambini provenienti da regioni occupate dai nazisti. Dubs aveva sei anni allora, e oggi, da tempo insignito del titolo di Lord, ha evidentemente sentito il dovere della memoria, suggerendo di accogliere ragazzi soli dentro a una guerra, come era stato lui. Il vecchio laburista ha bussato, ma non gli è stato aperto. Non vogliamo incoraggiare i viaggi di ragazzi soli verso l’Europa, è stato detto. Mah. Da certe guerre terribili come quella siriana, la gente scappa come può. Con la famiglia, se ci riesce, oppure, raccogliendo ogni mezzo, cerca di dare una chance ai figli: perché loro almeno si salvino. Non è questione di irresponsabilità delle famiglie il lasciar partire, o arrivare, da soli, è questione di vita o di morte. Quella morte che incalza e urge i profughi a fuggire, e che noi, gente nata e cresciuta nella pace, fatichiamo ormai a capire. Così si discetta, come a Londra, su ciò che sarebbe più opportuno e ragionevole fare. Intanto, a Calais o Idomeni anche bambini e ragazzi soli vivono nel fango una vita miserabile. Ma, pure volendo restare insensibili a ogni pietà, viene da domandarsi se il 'no' di Londra a 3mila profughi ragazzini sia ragionevole (la cifra equivale alla 'quota' che secondo 'Save the Children' spetterebbe alla Gran Bretagna, su tutti i rifugiati minorenni presenti oggi in Europa). I ragazzi approdati a Calais sono per lo più siriani. Alcuni di loro hanno raccontato di avere superato dieci frontiere almeno, e di avere viaggiato con tutti i mezzi, a piedi, per mare, clandestini nei Tir. Quanta volontà e ostinazione e voglia di vivere devono avere i quindicenni che ce la fanno a raggiungere la Francia da Aleppo? Probabilmente, molte di più di quanto non ne abbia un buon numero di loro coetanei occidentali, cresciuti negli agi, ignari della fame e del bisogno. I ragazzi di Calais o di Idomeni, e soprattutto quelli rimasti soli, devono avere una fame di vivere disperata: per non avere ceduto all’orrore, al dolore, all’angoscia. Ragazzi così, per usare una espressione del Papa, «sono un dono»: un dono di vita e di energia e di speranza. Lo sarebbero in qualsiasi latitudine, ma pensiamoli nell’orizzonte di un’Europa incanutita, con sempre meno bambini, con sempre meno desiderio di averne. E dove ci vorranno anni per invertire il trend demografico negativo ormai generato. Tremila ragazzi pieni di coraggio e di vita, oltre che un dono, in un’ottica materialistica potrebbero essere anche considerati un investimento. Come certo lo fu quel bambino di sei anni fuggito dalla Cecoslovacchia invasa dal Terzo Reich, e diventato un Lord. Il primo e quasi il solo che, nella prudente e murata Gran Bretagna, si sia alzato a pubblicamente dire: sentite un po’, quei ragazzi li dobbiamo aiutare. Il che dice molto anche su una certa smemoratezza in cui viviamo, e non solo a Londra. C’è voluto un vecchio di 83 anni, reduce dalla nostra ultima guerra, per ricordare a Cameron, e anche a noi, frammenti di un’umanità che in un’Europa sazia e sospettosa rischiano, amaramente, di essere sepolti nell’oblio.