Opinioni

Voto in Trentino-Alto Adige. Il «disumanismo» e la tenaglia che frenano i 5stelle

Marco Morosini mercoledì 24 ottobre 2018

Caro direttore, i risultati delle elezioni in Trentino Alto Adige confermano a livello locale il graduale smottamento, peraltro annunciato, del Movimento 5 stelle indicato dai sondaggi nazionali. Si tratta di una doppia sconfitta, a destra e a sinistra. Da una parte c’è il trionfo leghista a Trento. La sovresposizione governativa e mediatica ha fatto bene alla Lega, il più vecchio partito (1989) della 'odiata casta', riportato al governo dai 5 stelle dopo anni di astinenza di poltrone.

Nel capoluogo trentino il centrodestra (47%) capeggiato dalla Lega (27%) ha lasciato il 5 stelle al 7%. Dall’altra parte c’è l’affermazione a Bolzano del grillismo primigenio con il 15% della lista dell’ex 5 stelle Köllensperger, il 7% dei Verdi, e il 2,5% del Movimento 5 stelle. Questo è il risultato di due strategie perseguite da anni dal M5s. La prima: fare concorrenza al leghismo da dilettanti su un terreno che il leghismo domina da professionista. Dal 2005, infatti, l’organo ufficiale del Movimento, il sito beppegrillo.it, è stato trasformato da finestra propositiva sul mondo (come è di nuovo dal 23 gennaio 2018) a sfogatoio di istinti bellici ('Siamo in guerra!'), settari, tribali, volgari, machisti, spesso imitati anche nelle istituzioni dagli eletti 5stelle, con o senza cravatta.

Il Movimento ha così legittimato uno 'stile' di aggressione e odio, di cui il leghismo (fin dai tempi di Radio Padania, diretta da Salvini) è campione invitto. Il 5stelle poteva e doveva fare da baluardo alla disumanità verbale leghista con intelligenza, differenziazione, pensiero della complessità, priorità ecologiche, lealtà democratica e, soprattutto, con l’umanismo, i valori su cui il Movimento degli Amici di Beppe Grillo nacque nei primi anni di questo secolo. Il M5s – certo non da solo – avrebbe così confinato il virus leghista all’interno di un cordone sanitario invalicabile. Invece, si è fatto l’opposto. Si è inutilmente inseguito il leghismo sul suo terreno: il disumanismo. Invece di osteggiarlo, lo si è così legittimato, trasformando infine in alleato quello che si definiva pubblicamente un nemico ('Mai con la Lega, che ha ridotto l’Italia in macerie', 'Abbiamo un altro Dna').

Il risultato è che l’originale (il leghismo) promette di superare l’imitatore (5stelle) perfino nel dominio della rete (poveri Casaleggio), oltre che in quello del governo (povero Di Maio), nei sondaggi e ora anche nel primo test elettorale dell’era gialloverde o verdegialla. La seconda strategia perdente del Movimento è stata la liquidazione sistematica di quasi tutti i fedeli alla vocazione umanista, ecologica e realista dei primi grillini. Dal Movimento sono scomparsi in pochi anni più di 50 degli originari 180 parlamentari eletti a Roma e Bruxelles nel 2013 e 2014 (tra i quali solo qualcuno era forse una 'pecora nera'). Con essi sono stati perduti o liquidati anche decine di grillini sindaci e consiglieri comunali e regionali, e centinaia di migliaia di elettori ecologisti e umanisti (presto sostituiti da milioni di elettori ben diversi). Dove i grillini liquidati hanno saputo riorganizzarsi sui valori originari, non c’è stata partita. Nella 'Stalingrado del Movimento' (come la chiamò Grillo), il primo sindaco grillino Federico Pizzarotti (ripudiato dalla centrale 5stelle) ha superato due volte il 60% dei voti, la prima con il simbolo 'Movimento 5 Stelle' (2012), la seconda volta (nel 2017, primo sindaco grillino di capoluogo riconfermato) con la sua lista 'Effetto Parma' che raccolse il 34,8% già al primo turno. Confrontato con il buongoverno del sindaco, lo sfidante 'forte' del simbolo 'Movimento 5 stelle', Daniele Ghirarduzzi, raccolse nel 2017 appena il 3,2% dei voti.

Domenica scorsa, in Alto Adige, copione simile: la lista del grillino Köllensperger (che ha abbandonato il M5s) ha battuto il suo ex partito 15% a 2,5%. Ancora, guardiamo i risultati delle elezioni del 4 marzo. Il Movimento scese 'in guerra' nel 2009 per 'mandarli tutti a casa'. Dopo dieci anni, però, al Nord il M5s non riesce a convincere in media più di un elettore su cinque. Ne convince, invece, quasi uno su due al Sud, dove la promessa di un cosiddetto 'reddito di cittadinanza' si è rivelata il jolly vincente: 780 euro (dei 5stelle) batte 80 euro (di Renzi) dieci a uno.

Ma quanto potrà durare la spartizione dei compiti tra Lega e M5s? Al Nord fa man bassa la lista Salvini (ex Lega Nord), al Sud domina quella specie di 'Lega Sud' che sembra diventato il Movimento, capeggiato da un napoletano, e il cui direttorio era composto da quattro meridionali su cinque membri. Le due Italie sono profondamente diverse ormai da due secoli. Lo sono altrettanto nella strategia verde-gialla. Il Nord è più omogeneo all’Europa più progredita. Lo dicono tutti gli indici socialeconomico- ecologici (reddito, patrimonio, occupati, occupate, istruzione, alfabetizzazione, connessione, politiche ambientali). Il Sud, purtroppo (e non solo per causa sua), è più omogeneo alle regioni meno sviluppate dell’Europa (con qualche brillante eccezione). Ebbene, ormai da dieci anni al Nord il M5s è decisamente minoritario e così ha scelto di giocare le sue chance a brevissima scadenza solo al Sud.

Ma così facendo evita due domande in realtà ineludibili. La prima: quando finalmente il Sud si sviluppasse al livello del Nord, quali sarebbero le chance nazionali dei 5stelle? La seconda: se nel 2019 il Movimento deludesse il Sud non mantenendo le sue mirabolanti promesse, quali sarebbero le sue chance nazionali a breve termine? Anziché 'sbracciarsi' sui balconi dei Palazzi, i leader 5stelle farebbero bene a porsi queste domande, se vogliono diventare loro stessi quel cambiamento che hanno promesso al Paese.