Opinioni

Il direttore risponde. Il diritto di vivere (anche in patria)

Marco Tarquinio venerdì 22 novembre 2013
Gentile direttore,
correva l’anno 1864 quando il compianto Daniele Comboni – morto a 50 anni – diceva «Salvare l’Africa con l’Africa» nello scritto "Piano della rigenerazione dell’Africa" in cui, tra i vari consigli che dava agli africani, due mi hanno particolarmente impressionato per la loro attualità, veridicità e concretezza: «Cacciate via i neocolonialisti, gli sfruttatori stranieri... pensate al benessere di tutti i vostri concittadini, soprattutto quando si tratta di spartire i proventi delle risorse naturali, e non solo di quelli che fanno parte della vostra élite tribale o confessionale di potere». Ogni commento è superfluo. Ma qualche numero serve. Africa: superficie 30.221.000 Kmq, abitanti 1.020.201.229 densità: 34 ab./Kmq. Europa: superficie 10.832.000 Kmq abitanti: 806.000.000 densità: 74 ab./Kmq. Non credo che ci sia molto da discutere e/o da dire: <+corsivo_bandiera>res ipsa loquitur<+tondo_bandiera> (i fatti parlano). Vorrei ribadire altresì quello che tutti i governanti europei pensano e che si guardano bene dal dire, e che solo il Papa ha avuto coraggio di enunciare: se è vero che tutti hanno diritto all’emigrazione... (l’uomo è sulla Terra da circa 40mila anni e da 40mila anni si sposta da una parte all’altra... perché l’erba del vicino è sempre più verde), è anche vero che tutti hanno diritto a vivere bene nel Paese dove sono nati. Pensiamo agli italiani che col cuore spezzato hanno dovuto lasciare e ancora lasciano il nostro Paese per i motivi che sappiamo...
Roberto Ventura, Monfalcone (Go)
Credo, gentile signor Ventura, che lei voglia dire che il primo dei diritti umani è per ogni uomo e ogni donna – ovunque si nasca, qualunque colore abbia la pelle, senza distinzioni di cultura e di fede – alla vita e alla vita nella propria terra. E penso che l’altro nome della pace sia "sviluppo umano", cioè la costruzione di comunità civili e di una comunità delle nazioni fondate sulla giustizia e sulla libertà, oltre che sull’amore e sulla verità (i quattro pilastri richiamati da Giovanni XXIII nella “Pacem in terris”). Su questo ritengo che siamo d’accordo, da cristiani e da italiani, da cittadini dell’Europa e del mondo. Penso pure, e per la mia parte lavoro, come tanti altri, che l’Italia – persino in questo tempo così critico e deludente sul piano della politica e dell’economia – deve recuperare una così importante consapevolezza. È dalla consapevolezza che possono nascere politiche che promuovano – in Africa, ma non solo in Africa – azioni internazionali coerenti e tese a dare sostanza e concretezza alla sacrosanta idea che nessuno ancora oggi può essere costretto a strappare le proprie radici per disperazione, a causa dell’ignominia, dell’avidità e della sopraffazione altrui. E con la stessa speranza e chiarezza dobbiamo batterci perché ogni persona in difficoltà e in pericolo a causa di guerre, ingiustizie e persecuzioni politiche e religiose venga soccorsa e accolta nel pieno rispetto dei grandi princìpi dell’universale diritto delle genti codificato dalla Carta dell’Onu e dai Trattati che l’umanità si è data e che un buon numero di Stati (il nostro compreso) si sono impegnati in modo libero e solenne (ma purtroppo anche contraddittorio) a porre alla base delle proprie legislazioni. Non c’è da costruire un mondo dove siano facili i “travasi” di popolazione (che, è vero, non risolvono mai i problemi, e anzi a volte li fanno lievitare sia nella realtà sia nella testa della gente), ma un mondo più umano e più giusto, cioè “abitabile” alla stessa maniera da tutti. Un mondo dove nessuno sia umiliato e costretto a farsi e sentirsi “straniero”, né in patria né altrove.