Opinioni

Solidarietà al cappellano minacciato dalla “mafia libica”. E giuste attese

Marco Tarquinio sabato 17 dicembre 2022

La richiesta di un pm modenese di archiviare il caso delle minacce contro don Mattia Ferrari (impegnato anche con “Mediterranea”), continua a suscitare reazioni per le sconcertanti argomentazioni che l’hanno accompagnata su ruolo e doveri dei sacerdoti

Caro direttore,
tuo tramite vorrei esprimere massima solidarietà con don Mattia Ferrari. Ti confesso che mi procura vergogna e paura una simile magistratura.
Valter Vecellio, direttore di “Proposta Radicale”

Gentile direttore,
a loro modo stimolanti le curiose considerazioni con cui un pm della Procura della nostra città ha chiesto l'archiviazione per le minacce ricevute da don Mattia Ferrari nella sua qualità di “cappellano” dei migranti in mare. Dai cassetti della mia memoria esce tutta una sfilata di uomini religiosi che esercitavano in modi tutt'altro che «riservati e silenziosi», come si vorrebbe in Procura, il loro ministero. Penso a papa Wojtyla che, con voce tonante, minacciava ai mafiosi siciliani «il giudizio di Dio»; penso a Gesù di Nazareth in persona (ma in fondo anche lui un provinciale, come il modenese don Mattia) che si complicava – eccome! – la vita, attaccando scribi e farisei e prendendo a cinghiate i mercanti del tempio. Penso al vescovo Romero, a don Puglisi, ai tanti che, anche loro, “se la sono cercata”, seguendo un Vangelo “impertinente” che invita, la verità e la giustizia, a gridarle dai tetti (Matteo 10,27), non a sussurrarle negli oratori tra un'avemaria e una partita di bigliardino. Incauti!
Bepi Campana, Modena

Gentile direttore,
esprimo viva solidarietà a don Mattia Ferrari, di Modena, in difesa della sua azione umanitaria.
Enrico Peyretti, Torino


Grazie, cari amici lettori, e penso di poterlo dire anche a nome di don Mattia Ferrari. Per chi avesse perso le puntate precedenti di questa storia richiamo brevemente i fatti. Don Mattia è un giovane sacerdote della diocesi di Modena impegnato nell’attività pastorale ordinaria e al tempo stesso è anche cappellano di “Mediterranea saving humans”. Si tratta di una delle benemerite organizzazioni umanitarie impegnate a evitare nuove tragedie nel nostro mare, crocevia di migrazioni forzate e, purtroppo, forzatamente irregolari a causa di ciò che accade nei Paesi di partenza e di transito e della mancanza di regole e programmazioni sagge nella nostra parte del mondo, specialmente in Italia. Una delle situazioni più terribili su questo fronte – come continuiamo a documentare da anni – si vive in Libia, Stato squassato dalla guerra civile e infestato da bande armate criminali che occupano con loro membri persino pezzi degli apparati pubblici, e sono dedite tra l’altre poco onorevoli (ma redditizie) attività all’organizzazione di campi di detenzione per profughi e migranti irregolari che l’Onu ha definito veri e propri “lager” oltre che al traffico di esseri umani. Da un account digitale di una di queste fazioni, conosciuto e riconosciuto come “portavoce della mafia libica”, sono arrivate minacce dirette anche contro don Mattia che, da qualche tempo ormai, è sottoposto a una forma di protezione da parte delle nostre autorità di pubblica sicurezza che viene chiamata “radiosorveglianza”. La serietà della minaccia è stata confermata in Parlamento anche dal Ministero dell’Interno. La denuncia per questi fatti a parere del pubblico ministero della Procura di Modena cui è stato affidato il caso meriterebbe, però, di essere archiviata perché le minacce sarebbero – traduco – non troppo preoccupanti parti di un dibattito digitale e non, invece, la proiezione digitale delle intimidazioni di organizzazioni pericolose. E soprattutto perché le ha ricevute un prete, che avrebbe scelto di portare – cito testualmente il pm modenese – «il suo impegno umanitario (e latamente politico) sul terreno dei social o comunque del pubblico palco – ben diverso dagli ambiti tradizionali – riservati e silenziosi – di estrinsecazione del mandato pastorale». Mi ha colpito enormemente che leggendo queste valutazioni sembra che si stia parlando di quanto accaduto in un talk show o sulla scena di uno spettacolo e non del confronto tra chi salva vite e anime a mani nude e chi arrogante e armato “produce” sopraffazione e tragedia. Ma soprattutto, e ringrazio a questo proposito il professor Campana per la dolente ironia con cui svolge la sua sintetica eppure articolata riflessione, sono parole che sembrano intimare ai sacerdoti, testimoni del Vangelo di Cristo, di rincantucciarsi in un mondo e in un tempo dove il loro compito è di essere «discreti e silenziosi», inerti anche di fronte al male. Tempo e mondo che forse poco o tanto sono esistiti (e l’inchino pavido del manzoniano don Abbondio ne è diventato l’icona), ma che dopo il Concilio Vaticano II – come ha ricordato l’arcivescovo di Modena Erio Castellucci – sono semplicemente inimmaginabili. Un abbraccio a don Mattia e a tutti coloro, compresi gli uomini e le donne in divisa, gli sono accanto e vegliano su di lui, mentre lui non tace e si occupa di coloro che gli sono affidati, a partire dai più poveri, dai più deboli e senza voce. Anche per questo, proprio come il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, confidiamo in tanti in una giustizia vera. Da cronista di questi anni complessi e spesso drammatici, mi permetto di aggiungere che spero anche in valutazioni togate meno sconcertanti e sommarie.