Opinioni

Il caso dell'infermiera di Voghera. Obiezione di coscienza e rischio totalitario

Carlo Casini* lunedì 13 ottobre 2014
​«Non si può non provare un attimo di ammirazione per chi, anche a prezzo della propria libertà, dichiara che non si deve uccidere». Queste furono le parole scritte da Padre Ernesto Balducci all’inizio degli anni 60 a proposito dell’obiezione di coscienza al servizio militare, allora obbligatorio, proposta da Fabrizio Fabrini. Fabrini fu incriminato di reato militare e Padre Balducci di apologia di reato. Conosco bene il caso perché, appena entrato in magistratura, preparai e scrissi il provvedimento di archiviazione riguardo a Padre Balducci per conto del Consigliere istruttore con il quale collaboravo come uditore giudiziario. Però, la Procura Generale di Firenze promosse egualmente l’azione penale, come allora le era consentito di fare, e la vicenda giudiziaria si sviluppò con un processo che fece grande clamore e che terminò in grado di appello con l’applicazione dell’amnistia.
 
Mi è tornata in mente quella frase leggendo della infermiera di Voghera, vittima di contestazione, minacciata di denuncia, comunque denigrata perché ha cercato di dissuadere alcune donne dall’assumere la pillola del giorno dopo o dei cinque giorni dopo, ricordando loro che c’era di mezzo la vita stessa di un essere umano. Risulta che la ragazza si è licenziata dall’ospedale per non sentirsi obbligata a contribuire alla uccisione di un concepito e che le dimissioni sono state immediatamente accettate.
 
Spero che su questo punto possa avvenire un ripensamento da entrambi le parti, perché oggi perdere il lavoro è peggio di stare qualche mese in prigione. Ad ogni modo è doveroso esprimere un sentimento di ammirazione, giustificato ancor di più di quello espresso a suo tempo per l’obiezione di coscienza militare.
 
In uno Stato che «rifiuta la guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali» (art. 11 Costituzione), il cui esercito è utilizzato per soccorso delle popolazioni nel caso di catastrofi e partecipa all’estero soltanto ad operazioni di pace, essere costretti a uccidere qualcuno è una eventualità remotissima. Quando invece si assumono le varie pillole di cosiddetta "contraccezione di emergenza" l’eventualità di uccidere qualcuno è tutt’altro che remota. Essa è così probabile che le indicazioni tragicamente dette "terapeutiche" suppongono che vi sia stato un precedente «rapporto non protetto», come tale capace di determinare la fecondazione.
 
Che poi il foglio illustrativo, non a caso chiamato "bugiardino" indichi, quale unico effetto quello di «ritardare l’ovulazione» contrasta con l’evidenza che se l’ovulazione è già avvenuta non può essere ritardata. Inoltre il Comitato nazionale di bioetica più volte ha constatato la presenza di autorevoli studi secondo i quali le sostanze contenute in queste pillole possono anche rendere inospitale l’utero della donna anche se la fecondazione è avvenuta e impedire, quindi, l’ulteriore sviluppo della vita del figlio, privato del calore, dell’ossigeno e della alimentazione forniti dalla madre. Per questo il Cnb ha affermato il diritto all’obiezione di coscienza anche riguardo ai preparati chimici impropriamente chiamati contraccettivi di emergenza.
 
Perché tanta intolleranza nei confronti dell’obiezione di coscienza sanitaria da parte di chi, invece, non formula alcuna riserva riguardo all’obiezione nel campo della sperimentazione animale?
 
Evidentemente perché inquieta molto la testimonianza di chi proclama che l’embrione è Uno di noi e non vuol collaborare a provocarne la morte. Altri possono avere opinioni diverse, ma è un fatto che la mancanza di rispetto per chi, in forza di un suo ragionevole stato di coscienza, rifiuta qualsiasi collaborazione per uccidere apre le porte al totalitarismo.
*Presidente nazionale del Movimento per la vita