Opinioni

50 anni dopo. Ecclesiam Sua, l'universalismo anticipatore di Paolo VI

Carlo Cardia mercoledì 6 agosto 2014
È vicino il tempo della beatificazione di Paolo VI, e tra le memorie che si rincorrono – soprattutto in un giorno anniversario come questo, trentaseiesimo dies natalis del Papa che accompagnò e coronò il Concilio – merita evocare il carattere universalista e riformatore del suo pontificato. Papa Francesco ha definito di recente «documento pastorale insuperato» l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del 1975, ove si parla della Chiesa «universale, senza confini né frontiere eccetto, purtroppo, quelle del cuore e dello spirito del peccatore» (61), e si invita a diffondere il Vangelo offrendo, con le parole di Pietro, «le ragioni della propria speranza» (22). Si aggiunge che queste ragioni vanno unite alla coerenza della propria vita con il Vangelo, perché oggi ai cristiani viene chiesto: «Credete veramente a quello che annunziate? Vivete quello che credete? Predicate veramente quello che vivete?».In anticipo su ogni corrente di pensiero, Paolo VI ha accolto e s’è fatto promotore della globalizzazione dei rapporti tra gli uomini. Primo Papa che varca l’Atlantico, Montini parla all’Onu nel 1965, offrendo un riconoscimento forte perché essa rappresenta «in campo temporale ciò che la nostra Chiesa cattolica vuole essere nel campo spirituale: unica e universale». Le conseguenze sono immediate, per decisione del Papa la presenza e l’attività della Santa Sede a livello internazionale vive una fase d’espansione senza confini: dall’Onu all’Unicef, dalla Fao all’Unesco, alla Conferenza di Helsinki, alle istituzioni europee e americane, la Santa Sede vi partecipa direttamente, svolge una funzione mondiale unica nel suo genere. La scelta di Paolo VI non è solo diplomatica, affonda le radici nel cuore della missione della Chiesa, nella percezione della mondializzazione dei rapporti tra i popoli. Sulla scia di Giovanni XXIII, Montini emancipa la Chiesa da certa immagine euro-occidentale, e nella Populorum progressio dichiara che essa partecipa della volontà dei popoli che cercano di «liberarsi dal giogo della fame, della miseria, dell’ignoranza, vogliono una più attiva valorizzazione delle loro qualità». La dottrina sociale assume respiro globale, l’eguaglianza degli uomini creati a somiglianza di Dio giunge ai confini ultimi, si condannano i misfatti del colonialismi, si traccia una strategia fondata sui diritti dei popoli, sul rifiuto della violenza e della guerra. Anche la rivolta rivoluzionaria è «fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, provoca nuove rovine», ma può aversi in caso di «tirannia evidente e prolungata che attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuocesse in modo pericoloso al bene comune». Per Paolo VI la «fame d’istruzione» è pari alla «fame di alimenti», perché «un analfabeta è uno spirito sottoalimentato», «lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità». L’analisi è del 1967, oggi non potrebbe dirsi meglio.Per fedeltà alla propria missione la Chiesa deve superare le divisioni del passato che l’hanno deturpata e impoverita, e lo spirito ecumenico produce un evento epocale, l’incontro di Paolo VI con il Patriarca di Costantinopoli, che cancella le reciproche scomuniche del 1054 e avvia un cammino ricco di frutti che maturano nel tempo. Il Documento del 1965 auspica che le due Chiese possano «vivere nuovamente nella piena comunione di fede, e di vita sacramentale che esisteva tra loro nel corso del primo millennio». Il dialogo con gli ortodossi sarà sviluppato da Giovanni Paolo II, e Benedetto XVI che insieme a Bartolomeo I sottoscrive nel 2010 una dichiarazione d’intenti «per preservare le radici, le tradizioni ed i valori cristiani, per assicurare il rispetto della storia, come pure contribuire alla cultura dell’Europa futura». Anche la struttura della Chiesa deve arricchirsi d’universalismo, e Paolo VI diviene il grande legislatore, il riformatore della Chiesa del Novecento. Montini è il Papa della collegialità, l’architetto del nuovo rapporto tra il Vescovo di Roma e l’episcopato mondiale. Il papato è istituzione universale per definizione e per storia, sin da quando inviava le prime missioni nel resto d’Europa e nel mondo, per la diffusione del Vangelo, ma nell’epoca della globalizzazione l’episcopato assume di nuovo un ruolo centrale che permette all’azione del Papa di adeguarsi alle esigenze di una Chiesa diffusa in ogni angolo del pianeta. A volte si dimentica che Paolo VI esercita con sapienza la funzione equilibratrice nel completare il Vaticano II, patendo il vetriolo della contestazione, e opponendosi a tendenze centrifughe che offuscherebbero la funzione del Vescovo di Roma. Il programma di pastore universale è tracciato da Paolo VI già nella prima enciclica, l’ Ecclesiam suam, quando parla dei tre raggi cui s’indirizza l’azione della Chiesa. Il «primo immenso cerchio» riguarda «l’umanità in quanto tale, il mondo» e in esso il dialogo va fatto anche con coloro che non credono o negano esplicitamente Dio; «noi misuriamo la distanza che da noi lo tiene lontano; ma non lo sentiamo estraneo. Tutto ciò ch’è umano ci riguarda». Il secondo cerchio «da noi meno lontano, è quello degli uomini che adorano il Dio unico e sommo, quale noi adoriamo», e la Chiesa riconosce i valori spirituali delle altre religioni, con esse intende «promuovere gli ideali della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura, della beneficienza sociale e dell’ordine civile». Infine, il cerchio più vicino alla Chiesa, è quello «del mondo che a Cristo s’intitola», di coloro che si riconoscono nella fede cristiana, anche se viene professata dentro chiese e comunità cristiane «separate». Per questa ragione la struttura del governo della Chiesa cambia, ma ne salvaguarda la solidità. Se la Chiesa non è unita, non sarà universale, e Paolo VI ricorda San Girolamo per il quale senza unità «vi sarebbero nella Chiesa tanti scismi quanti sono i sacerdoti». Papa Montini diviene il legislatore della Chiesa del Vaticano II, il riformatore di una Curia internazionalizzata, e lascia in eredità stabile una mentalità e una pratica universalistiche che danno luce e impulso ai successivi pontificati.