Opinioni

Fame e sviluppo sostenibile. I prezzi del cibo in discesa aiuto ai poveri del mondo

Raul Caruso giovedì 9 aprile 2015
Tra le tendenze in corso nell’economia mondiale, una delle più importanti in questo momento è sicuramente la diminuzione dei prezzi dei prodotti agricoli e, di conseguenza, dei beni alimentari. A marzo, in particolare, l’indice globale dei prezzi dei beni alimentari elaborato dalla Fao è diminuito del 18,9% su base reale rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Questo dato conferma una tendenza al ribasso cominciata già nel 2012 dopo i massimi storici raggiunti tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011. I mercati dei prodotti agricoli nel periodo precedente erano stati caratterizzati da prezzi elevati e in alcuni casi eccessivamente volatili. I prezzi alimentari, infatti, sono cresciuti in maniera pressoché ininterrotta dal 2001 al 2011 (con le sole eccezioni di alcuni mesi del 2002 e del 2009). La diminuzione attuale non è, però, uniforme. A guidare la discesa, in particolare, sono i prodotti caseari (-31,3%), lo zucchero (-26,2%), gli oli vegetali (-26,1%), i cereali (-18,7%) e infine le carni (-4,6%). La tendenza registrata su base annua è confermata anche negli ultimi mesi per tutte queste categorie con la sola eccezione dei prodotti caseari il cui indice dei prezzi è in rialzo nell’ultimo bimestre. Indubbiamente, esistono dei vantaggi oggettivi da una diminuzione dei prezzi a livello globale.
In primo luogo, a beneficiarne dovrebbero essere i paesi a basso reddito che sono importatori netti di cibo. Infatti, due terzi dei paesi in via di sviluppo sono considerati importatori netti di beni alimentari e la stessa Fao individua una lista di cinquantacinque nazioni a basso reddito e con deficit alimentare in cui rientrano la maggior parte dei paesi dell’Africa sub-sahariana. In breve, il "raffreddamento" dei prezzi dovrebbe determinare un miglioramento nel tenore di vita delle fasce più povere della popolazione in cui la spesa alimentare rappresenta la voce più importante nei consumi delle famiglie. Inoltre, la diminuzione dei prezzi potrebbe contribuire a disinnescare in molti casi gli incentivi alla violenza in aree e paesi intrappolati in una spirale di povertà e sanguinosi conflitti interni. È pressoché inutile ricordare che il legame tra prezzi dei beni alimentari e violenza è conosciuto da sempre. Negli ultimi anni esplosioni di violenza riconducibili agli choc nei prezzi alimentari si sono verificate in Algeria, Argentina, Camerun, Haiti, India e Tunisia. Le "rivolte per il pane" in molti casi costituiscono banchi di prova per regimi politici. Un esempio in questo senso ci proviene dall’Indonesia alla fine del secolo scorso. In seguito alla crisi asiatica del 1997, al fine di accedere al sostegno del Fondo monetario internazionale, il governo indonesiano si trovò costretto a rimuovere il controllo pubblico del mercato risicolo che aveva contribuito a stabilizzare i prezzi per lungo tempo.
La rimozione del controllo pubblico determinò un innalzamento subitaneo dei prezzi tale che l’indice di inflazione per il cibo nel 1999 era cresciuto del 162% rispetto a livelli pre-crisi. In un paese in cui il 70% della spesa di almeno metà della popolazione era destinato ad alimenti gli effetti furono devastanti. L’aumento della povertà e l’incapacità del governo di fronteggiare la crisi, determinarono la caduta del regime di Suharto e un picco nei livelli di violenza diffusa. La tendenza ribassista dei prezzi degli ultimi mesi è da accogliere con favore, anche se è giusto sottolineare che prezzi agricoli al ribasso non costituiscono sempre una buona notizia. Come in ogni mercato, prezzi elevati rappresentano, infatti, un incentivo per gli agricoltori a mantenere i propri investimenti o a effettuarne di nuovi aumentando i livelli di produzione e di resa. In assenza di adeguati incentivi in un periodo medio-lungo, le piccole imprese di comunità tradizionalmente caratterizzate da una forte dipendenza dalle produzioni agricole rischiano una progressiva incapacità di operare fino alla loro scomparsa anche in mercati locali e regionali. In alcune aree del mondo, inoltre, prezzi troppo bassi possono condurre a criticità ben più significative.
La caduta attuale dei listini dei cereali, ad esempio, non è una buona notizia per l’Afghanistan in cui il grano costituirebbe l’unica valida alternativa alla coltivazione di oppio. Con prezzi dei cereali al ribasso, i contadini afghani non avranno incentivi a sostituire la coltivazione dell’oppio, ma anzi ad aumentarla, con conseguenze negative per un paese dilaniato da anni di guerra, oltre che per le società occidentali a causa della diffusione di eroina a buon mercato. Perché la diminuzione dei prezzi in corso apporti effettivamente dei benefici essa dovrebbe poi arrestarsi a un livello in cui i prezzi tendano a mantenersi stabili in un periodo medio-lungo. Invero, volatilità e instabilità dei prezzi costituiscono in ogni caso una brutta notizia per produttori e consumatori. Non si può non considerare, pertanto, che le tensioni sui mercati degli ultimi anni dovrebbero spingere la comunità internazionale a dare nuovo impulso al dibattito e alle proposte di cooperazione in merito alla regolamentazione commerciale e ai prezzi dei prodotti agricoli. Il primo obiettivo da perseguire è sicuramente una maggiore stabilità dei prezzi agricoli al fine di garantire la sicurezza alimentare a livello globale nel lungo periodo e rafforzare i processi di crescita economica in molti paesi in via di sviluppo. La stabilità dei prezzi, infatti, rende possibili da un lato investimenti profittevoli da parte degli agricoltori e dall’altro la scelta da parte delle famiglie della composizione di lungo periodo di consumi e risparmi per le famiglie.
Sul piano della cooperazione internazionale, il primo e più rilevante ostacolo da superare è il tema delle distorsioni del mercato mondiale operate dei paesi sviluppati. Il mercato agricolo mondiale, infatti, è ancora eccessivamente distorto a causa degli ingenti sussidi agricoli dei paesi sviluppati. L’Unione Europea, in particolare, mantiene ancora in vita il sistema complesso della politica agricola comune che negli anni si è trasformato da quello che poteva essere un comprensibile meccanismo di sostegno all’agricoltura in uno sproporzionato vantaggio a favore delle imprese agricole europee nei mercati mondiali. L’impatto negativo che i sussidi europei e degli altri paesi avanzati hanno avuto sui livelli di sviluppo di molte nazioni, finendo per costringerle in una trappola della povertà, è accertato e fuori discussione. Se la comunità internazionale intende intraprendere un nuovo percorso che conduca a un miglior governo della globalizzazione non può non interrogarsi e confrontarsi sull’opportunità di modificare alcuni dei principi che hanno caratterizzato il governo dell’economia mondiale degli ultimi decenni in particolare per i mercati agricoli.