Opinioni

Il delitto a Malta. «Difendere i reporter nel nome di Daphne mia sorella martire»

Corinne Vella sabato 21 luglio 2018

La giornalista Daphne Caruana Galizia, nota per le sue inchieste anticorruzione, è stata uccisa a Malta il 16 ottobre 2017 nell’esplosione della sua automobile.

L’autrice di questo articolo è la sorella di Daphne Caruana Galizia, la giornalista di Malta uccisa lo scorso ottobre in un attentato. In occasione del convegno internazionale di 'Ossigeno per l’Informazione', dedicato alla libertà di stampa, Corinne Vella ha testimoniato come i famigliari di Daphne hanno vissuto la tragedia di quella morte violenta. Da allora, Corinne Vella viaggia per l’Europa a spiegare che l’uccisione di un giornalista non danneggia soltanto i suoi familiari.

Gli abusi da parte di autorità statali hanno un chilling effect (di ingiusto freno e di limitazione) sulla libertà di stampa. E quando un giornalista è costretto a tacere per paura o perché viene ucciso, è una sconfitta per tutti noi, perché perdiamo il diritto di sapere, di conoscere e di capire. La libertà di stampa è in pericolo dappertutto nel mondo. Soltanto un cittadino su sette vive in un Paese in cui vi è libertà di stampa. L’Europa viene considerata la regione dove la libertà di stampa è maggiormente garantita. In realtà, la libertà di espressione appare anche qui più fragile di quanto ci aspetteremmo.

Non a caso quattro dei maggiori declassamenti nell’indice sulla libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere riguardano Paesi europei. Uno di questi è proprio Malta, il mio Paese, che appare 18 posizioni più in basso rispetto all’anno scorso e ora è al 65° posto. La morte di Daphne Caruana Galizia, mia sorella, avvenuta lo scorso ottobre, è uno dei principali fattori di questo declassamento. Daphne era una delle più note e seguite giornaliste di Malta. Il 16 ottobre 2017 è stata uccisa da un’esplosione di una bomba telecontrollata piazzata sotto la sua auto. Il suo omicidio è correlato alla corruzione del potere e alla mancata protezione della libertà di stampa in uno Stato di diritto, a Malta come in tutto il mondo. E ciò porta alla constatazione che neppure l’Europa è più un luogo sicuro per i giornalisti. I n un discorso a Bruxelles alcuni mesi dopo la sua morte, i figli di Daphne hanno espresso la preoccupazione che ciò che era accaduto alla madre potesse accadere ancora. Poco dopo, Jan Kuciak e la sua fidanzata Martina Kusirovna sono stati assassinati nella loro casa. Ora, non ci chiediamo più se un altro giornalista verrà ucciso, ma: quando. Di recente, è stato scoperto e sventato in Italia il tentativo di uccidere Paolo Borrometi. Una buona notizia, ma è terribile che si stesse pianificando questo omicidio.

Dovremmo pensare che ciò non riguarda soltanto Paolo Borrometi, ma tutti noi. I giornalisti non esistono e lavorano per sé stessi, ma per la comunità. Quindi, tutti dobbiamo preoccuparci che un giornalista sia adeguatamente protetto. È attraverso il loro lavoro che siamo informati e controlliamo il potere. Tuttavia, concentrare l’attenzione soltanto sul giornalista minacciato non consente di avere il quadro completo. Dobbiamo pensare a come si può colmare il vuoto dei sistemi di protezione. Nel caso di Malta, ciò significa che dovremmo considerare il fallimento delle autorità statali e dei modi per impedire l’impunità. La responsabilità di proteggere un giornalista spetta in prima e ultima istanza allo Stato, che ha l’obbligo preciso di proteggere i diritti, tra cui il diritto alla vita e il diritto di sapere. Un ufficiale di polizia di Malta ha dichiarato che Daphne aveva rifiutato la protezione. L’affermazione è falsa, e comunque sarebbe una giustificazione assolutamente inadeguata. La migliore forma di protezione che le autorità statali possono fornire consiste nel prevenire la criminalità e perseguire i criminali che costituiscono una minaccia per i giornalisti. È fuor di dubbio che la morte di Daphne avrebbe potuto essere evitata e che lo Stato ha fallito sia nel proteggerla adeguatamente sia nel compito di prevenire lo sviluppo di un ambiente ostile per il giornalismo critico e indipendente.

Ciò che sappiamo è che processare i criminali rende un ambiente più sicuro per i giornalisti. L’impunità sistematica per i crimini espone i giornalisti a rischi maggiori. Ciò crea anche un ambiente in cui gli attacchi ai giornalisti vengono percepiti come la normalità. Nel caso di mia sorella, la somma di tutti questi fattori ha creato un meccanismo che si è rivelato fatale. Daphne aveva sempre saputo che non era libera di scrivere. Lei voleva vivere in un Paese in cui la stampa fosse libera e la libertà di espressione un diritto inalienabile. In trenta anni di lavoro, è stata via via sempre più diffamata, discreditata e isolata. La sua casa è stata incendiata due volte, una con il chiaro intento di ucciderla. Nessuno è mai stato indagato per questi crimini e per quelli che lei ha via via denunciato negli ultimi anni.

La corruzione e le impunità sono tra i principali fattori che hanno reso possibile la sua morte. Problemi che sono andati aggravandosi. Prima del suo omicidio, Daphne aveva ricevuto minacce e intimidazioni da funzionari statali e da loro collaboratori, perché aveva rivelato la corruzione che coinvolgeva Keith Schembri, il responsabile dello staff del primo ministro Joseph Muscat e del ministro Konrad Mizzi. Ancora oggi, entrambi ricoprono le rispettive cariche. Daphne aveva dimostrato la collusione tra Muscat, il suo capo di gabinetto Schembri, il ministro della Giustizia Owen Bonnici, e Christina Kaelin di Henley and Partners.

Tutti cercavano di metterla a tacere sotto il peso di querele pretestuose. A carico di mia sorella erano pendenti 47 processi, di cui cinque penali. La maggior parte delle querele era di funzionari del governo e del partito al governo. Il ministro dell’Economia aveva fatto bloccare i suoi conti correnti. Dopo la morte di Daphne, abbiamo scoperto che pendeva un’altra causa. Ali Sadr, il proprietario iraniano di Pilatus Bank, aveva chiesto 40 milioni di dollari per risarcimento danni, in Arizona. Nessuno aveva mai notificato a Daphne quel procedimento. Sadr ha ritirato la citazione, dopo aver appreso la notizia dell’omicidio di Daphne. Un politico aveva costruito la sua campagna elettorale per le presidenziali sulla denigrazione di Daphne, che aveva rivelato i suoi legami con la criminalità organizzata. Lei non è stata protetta dalle istituzioni maltesi, compresi polizia, il procuratore e i giudici, che non hanno fatto assolutamente nulla riguardo ai reati che aveva denunciato.


Potendo contare soltanto sul supporto di alcuni testate giornalistiche, sia pur importanti, è stato facile organizzare la sua uccisione. Ora, la domanda è: che cosa possiamo fare?

1. Evitare un linguaggio ostile nei confronti dei giornalisti. Gli estremisti e i normali cittadini prendono esempio dai loro leader. Una retorica ostile nei confronti di giornalisti che criticano il governo fa apparire legittimi gli attacchi nei loro confronti.

2. Attuare le raccomandazioni del Consiglio d’Europa sulla protezione e la sicurezza dei giornalisti. Sono state approvate nel 2016, ma non sono ancora state attuate.

3. Rafforzare il monitoraggio. Organizzazioni come Ossigeno per l’Informazione dovrebbero ricevere un sostegno materiale.

4. Legiferare per proteggere l’identità dei giornalisti che esercitano il diritto di accesso agli atti.

5. Creare un organo consultivo transnazionale per sorvegliare le indagini sulla morte dei giornalisti. Questo aumenterebbe nei criminali la consapevolezza del rischio di essere puniti e attirerebbe l’attenzione sia su chi è al potere sia su chi non lo è e rifiuta di difendere la libertà di stampa.

6. Infine, ma non meno importante, è necessario mettere fine all’impunità. Come ci ricordano le scritte nelle aule di giustizia italiane: 'La legge è uguale per tutti'. E non ci devono essere eccezioni.