Opinioni

I conti più duri. Italia tra fiscal compact e scelte Bce

Leonardo Becchetti mercoledì 19 marzo 2014
Il premier Renzi è un appassionato di fogli Excel (uno dei più diffusi sistemi di archiviazione dati e di calcolo elettronico). Gli consigliamo di tenere sempre sott’occhio quello sui conti del Fiscal Compact e speriamo che sia stato sul tavolo dell’incontro con la signora cancelliere Merkel l’altro giorno.Dal prossimo anno saremo chiamati a ridurre di un ventesimo la quota del rapporto debito pubblico/Pil eccedente il 60%. Considerando per l’analisi il dato di fine 2013, siamo ad un rapporto debito/Pil del 132,6% (in realtà saremmo già oltre ma diamo per buono questo dato ufficiale) per un totale di circa 2.068 miliardi di euro di debito in valore assoluto contro un Pil di circa 1.560 miliardi. Utilizzando questi valori ciò significa che il primo anno di applicazione del Fiscal Compact dovremmo approssimativamente scendere circa al 129% del rapporto debito/Pil. Il che significherebbe – a debito, Pil e inflazione costanti – 54,6 miliardi di euro di manovra. Viste le difficoltà della revisione della spesa non ci pare che tale somma sia all’orizzonte. Tralasciando il fatto che ogni taglio di spesa o aumento di tasse avrebbe effetti recessivi, mettendo in difficoltà la ripresa e dunque anche il famigerato rapporto debito/Pil, un’alternativa ci sarebbe. Con un moderato tasso d’inflazione e una robusta ripresa economica quei 54,6 miliardi si possono raggranellare senza fare alcuna manovra.Il problema è che, oggi, la stessa Bce si mette di traverso su questo punto. Anche il consenso strappato da Renzi sulla possibilità di tenere il deficit/Pil vicino al 3% non aiuta, perché il deficit va a incrementare il debito. Facciamo i conti. Se la Bce continua con politiche eccessivamente deflazionistiche a scostarsi dall’obiettivo "asintotico" (a cui deve avvicinarsi al massimo senza raggiungerlo) del 2% di inflazione sancito nel "suo" trattato (di ieri la revisione al ribasso dallo 0,8 allo 0,7 percento dell’inflazione nell’eurozona), se nel nostro Paese l’inflazione resta ipotizziamo all’1%, e se non facciamo manovre aggiuntive tenendo il deficit al 3% del Pil, diventa necessaria una improbabile crescita reale quasi "cinese", superiore comunque al 4%, per rispettare il Fiscal Compact senza ulteriori manovre. Se invece la Bce con una politica monetaria più espansiva "facesse i suoi compiti" e portasse l’inflazione al 2% avremmo bisogno di una crescita "solamente" del 3%. Con un’inflazione come quella che rischiamo di avere (attorno allo 0,5%) la crescita necessaria per rispettare il patto arriva al 4,5% o, in alternativa, ci aspetta una manovra di 70 miliardi di euro. Incontrandosi a metà strada possiamo ipotizzare una crescita (già difficile da raggiungere) del 2% che ci costringerebbe ad una manovra aggiuntiva di più di 35 miliardi. La morale del foglio Excel del Fiscal Compact è che i compiti non dovremmo farli solo noi ma anche l’Unione Europea.Il Fiscal Compact prevede deroghe per "fattori rilevanti". Lo sono una politica macro Ue che non rispetta le regole con un’inflazione troppo bassa e un tasso di cambio euro/dollaro prossimo a 1,5? Crediamo proprio di sì, ricordando tra le tante la confidenza di un industriale della meccanica che raccontava come i suoi clienti internazionali scegliessero il suo prodotto con un cambio euro/dollaro sotto 1,2 passando invece a quello americano con il cambio sopra questa soglia...Il finanziere George Soros ha affermato ieri che la Germania con la sua memoria corta (sui propri sforamenti passati del 3%, sui condoni di debito di cui ha beneficiato nel dopoguerra...) rappresenta l’ostacolo principale al successo dell’euro. Se il nazismo ha "meritato" il piano Marshall, il nostro debito pubblico non merita almeno una politica monetaria e fiscale espansiva nell’area euro e una simmetria nei compiti a casa?