Opinioni

I migranti morti soffocati nella stiva. Guernica di carne. No all’indifferenza

Marina Corradi mercoledì 2 luglio 2014
Quello che al traino di una motovedetta, lentamente, entra nel porto di Pozzallo è un vecchio motopeschereccio azzurro che dondola quieto al moto delle onde. Ha un’aria innocente. Da lontano fa pensare a quei barconi che d’estate portano i turisti in gita lungo le coste. Ma il barcone azzurro è carico di morti. Trenta, forse, accatastati nella stiva. I sopravvissuti han raccontato che, da là sotto, urlavano per uscire; e che gli scafisti invece hanno sbarrato il boccaporto – ed è stato come sigillare una tomba. Asfissiati dai gas di scarico, come topi in trappola, così sono morti in trenta. E il dirigente della Squadra mobile di Ragusa che fra i primi si affaccia alla botola racconta atterrito che quella mischia di facce, braccia, gambe gli ha ricordato immagini che aveva visto solo nei libri di storia: fosse comuni, dice, o lager. Quando poi il barcone attracca al molo se ne distinguono le cime logore, le bitte arrugginite, l’assito sconnesso. Pare incredibile che su una carretta lunga venti metri appena siano state ammassate oltre 500 persone. Pare incredibile che abbiano pagato 2.000 euro a testa, e 1.500 in più i bambini non accompagnati. E 200 euro per acqua e tonno, il "kit di sopravvivenza", 300 per il giubbotto salvagente, 300 per un posto di "prima classe", sul ponte, i più miserabili, nella stiva. Non si può portare una coperta, ma per 200 euro se ne può comprare una. Si sa, l’arrivo dei profughi siriani, in grado di pagare di più, di essere derubati di più, ha alzato i prezzi. E sì, pare incredibile, ma accade oggi, alle frontiere d’Europa, di morire come bestie, così. Ancora ieri sera la trappola della stiva non voleva lasciare andare le sue prede. Il motore rabbioso delle motoseghe sul vecchio legname del ponte ha rotto il silenzio in cui sulla banchina si stava a guardare la barca azzurra. Poi è arrivato un muletto con un gancio, a strappare via il ponte. Ma ancora niente, i morti restavano invisibili nel loro pozzo, là sotto; e pareva perfino che gli uomini sul molo, pure protetti da maschere e tute e guanti, esitassero ad avvicinarsi alla botola, che non volessero guardare. Come cercando di ritardare il momento dell’impatto con una morte ammassata, stoccata – quasi fossero, quei corpi, merce. Mani, petti, volti sovrapposti e mischiati, in una Guernica di carne («La morte – scrisse Simone Weil – che rende gli uomini cose»). Se quei corpi sono scomposti e aggrovigliati come nella stiva del peschereccio azzurro, è più disumana la morte. Perché è proprio come dicesse, la calca livida, anche ai vivi: non siete niente, siete solo cose. Il dirigente della Polizia che fra i primi ha visto, l’ha detto: era come nei libri di storia su cui studiavamo da ragazzi, fosse comuni in cui gli uomini non erano solo morti, ma anche annientati; quasi che non fosse stato un giorno, ciascuno di loro, un figlio aspettato, partorito e amato; quasi non fosse stato ciascuno un uomo unico, con un suo unico nome e destino.Quando, da studenti, aprivamo i libri di scuola su quelle foto, ne restavamo sbalorditi e quasi increduli, noi nati in un’Europa in pace; certi però che cose come quelle non sarebbero mai più potute accadere. E invece, ecco, anno 2014: le barche dei migranti e dei profughi affondano, oppure si muore murati in una stiva, e già il giorno dopo sui siti dei quotidiani la vicenda scivola fra gli ultimi titoli.Sappiamo che in Sicilia una moltitudine di volontari, parrocchie, gente comune si sta facendo in quattro per aiutare i migranti. Sappiamo che l’operazione Mare Nostrum ha salvato migliaia di vite. Ma dai palazzi di Strasburgo e Bruxelles, che silenzio. E nel parlar di strada, che luoghi comuni gelidi e arrabbiati. Così che ci si chiede: se non il rispetto per ogni vita umana, cosa ci tiene veramente insieme? Così che ci si chiede se ciò che fa più paura non sia in realtà la indifferenza con cui questa Europa guarda ai miserabili e ai profughi di guerra (otto su dieci, ora, dalla Siria e dall’Eritrea) che premono alle sue porte. Come fossero niente, o soltanto uno sfortunato incidente. Fa paura quando, fra uomini, ci si guarda così.