Opinioni

Il direttore risponde. Grido dal «poliedro della morte»

Marco Tarquinio domenica 14 aprile 2013
Gentile direttore,
trent’anni ancora da compiere, architetto e prossima al matrimonio. «Hai un tumore maligno. Sei in gravi condizioni. Devi iniziare subito le chemio. Ti dobbiamo ricoverare con urgenza». Questa è la notizia che mi hanno dato i medici dell’Istituto nazionale per i tumori, il Pascale di Napoli. In un attimo la vita è cambiata, assieme ai miei cari siamo precipitati nell’abisso della malattia e della sofferenza. Accadono tante disgrazie nel mondo, tante catastrofi naturali e malattie dalle cause sconosciute, verrebbe da pensare. Invece qui si parla di un’altra storia. Di una malattia che non è causata da nessun incognito male del mondo. Di una malattia inflitta da un uomo a un altro uomo. Avete capito bene. Il mio tumore è stato causato da altre persone. Stile di vita sano, mai fumato, mai fatto uso di sostanze stupefacenti... la mia vita si svolgeva tra casa, chiesa e università. «Se non ti ricoveriamo subito, ti resta un mese di vita... per essere ottimisti ». Ci sembrava assurdo. Come era potuto accadere? Fu il primario dell’ospedale a darci la risposta: «Ma come, non avete mai sentito parlare del "triangolo della morte"? Già da tempo se ne è occupato The Lancet oncology, una delle più prestigiose riviste internazionali di oncologia. Tu vivi nel bel mezzo del 'triangolo della morte', tu vivi lì…».
Quest’area comprende ampi territori che vanno dalle provincie di Napoli Nord a quelle di Caserta Sud. Sono territori violentati dalla camorra, con l’ausilio talvolta di politici corrotti e collusi. In questi territori vengono sversate tonnellate di rifiuti industriali altamente tossici; diossine e policlorobifenili (Pcb) sono il minimo che si possa trovare.
Arrivano nelle nostre campagne tir senza alcun monitoraggio, senza alcuna tracciabilità. Sversano, interrano, bruciano, ammazzano. È stato calcolato che nel 2064 i liquami interrati raggiungeranno la falda acquifera. Sarà un disastro mille volte più potente di una catastrofe nucleare, e il peggio è che noi lo sappiamo. Noi lo denunciamo. Cerchiamo in ogni modo di far conoscere il nostro dramma, facciamo da cittadini comuni ciò che spetterebbe da chi ci governa e a chi dovrebbe tutelare la nostra salute e il nostro territorio. Noi gridiamo per la morte nostra e dei nostri figli: qui il dramma si perpetua nel tempo, è paradossalmente infinito. Sversano ogni giorno. Ma noi siamo più forti della camorra, loro ci hanno usato come discarica d’Italia, ma noi gridiamo ogni giorno di più. I nostri morti gridano di più. I nostri cimiteri sono pieni di bare bianche, le foto dei bambini sulle lapidi gridano vendetta agli occhi di Dio. Il "triangolo della morte" in pochi anni è diventato il "poliedro della morte"; i territori contaminati si stanno allargando a zone prima estranee a questo dramma umanitario. Non vogliamo più parole, non vogliamo più chiacchiere da propaganda elettorale. Vogliamo solo vivere. Vogliamo respirare. Qualche giorno fa a Caivano sono stati rinvenuti rifiuti tossici industriali interrati. Chi li ha interrati?
Possibile che ci siano "imprenditori" che riescono a fare tutto senza regole ed evadendo il fisco, anche avvelenare e quindi ammazzare? Possibile che certi reati vadano in prescrizione mentre si continua a morire? Ma noi non ci arrendiamo. Lottiamo per vivere. Fino alla fine.
Vincenza Cristiano
 
PS. Scrivo a lei per l’interesse che "Avvenire" sta dimostrando da tempo ponendo all’attenzione pubblica il dramma della 'terra dei fuochi'. E la saluto con stima e riconoscenza.
 
Mentre leggevo le sue parole, cara Vincenza, ho ripensato alla testimonianza che ci aveva affidato l’8 luglio dello scorso anno e mi è tornato in mente l’appello inviatomi da sua sorella, Diva, e apparso in questa stessa pagina (come 'scripta manent') il 7 agosto successivo. Poi ho rivisto il film dei titoli e pagine di "Avvenire" che – grazie all’intelligenza, al rigore e alla dedizione dei miei colleghi – hanno scandito in questi dieci mesi una delle più lunghe e martellanti inchieste giornalistiche realizzate da un quotidiano italiano su un tema di grande e vera 'politica' (politica non delle chiacchiere, ma nel senso più pieno del termine che rimanda alle responsabilità personali e comunitarie onorate o disonorate nella vita delle città dell’uomo). Un tentativo serio di tenere desta l’attenzione su quella che per tanti in Italia sembra purtroppo e incredibilmente diventata una non-notizia: la «strage silenziosa», come l’ha definita amaramente una sua conterranea, che da almeno vent’anni uccide nella cosiddetta 'terra dei fuochi' campana e che venne illuminata per la prima volta, agli occhi del grande pubblico, proprio con questo nome – al tempo stesso innocente e sinistro – da Roberto Saviano in un capitolo di 'Gomorra'. Facciamo eco e cerchiamo di amplificare il grido suo e dei suoi concittadini, cara amica, e l’azione di quanti trovando riferimento e sostegno costante nelle Chiese locali contrastano lo scempio degli interramenti, degli sversamenti e dei roghi di rifiuti tossici. E speriamo di essere sempre più numerosi in questo impegno. Perché solo facendo coro e dicendo "basta", con parole e fatti, da nord a sud, si potrà vincere la battaglia contro la camorra e un’imprenditoria indegna. Una battaglia che per la prima volta dopo anni di miopia e d’incomprensibili supponenza e distacco vede in campo – grazie, non sembri strano, alla coraggiosa umiltà dimostrata dagli attuali ministri Anna Maria Cancellieri e Renato Balduzzi – anche una parte importante del mondo delle istituzioni. Tanto c’è ancora da fare, e sempre nuove e tragiche scoperte confermano le proporzioni del dramma per le terre e le popolazioni che sono state e vengono ancora avvelenate a morte. Ma, proprio per questo, lei ha assolutamente ragione: non ci si può arrendere. La saluto con affetto fraterno, e con sincera ammirazione.