Opinioni

Coronavirus. Grave dire e far pensare che è un affare di vecchi

Massimo Calvi martedì 24 marzo 2020

«La maggior parte delle vittime di coronavirus ha più di 80 anni». «I morti sono morti, sì, ma avevano altre patologie». «La percentuale di deceduti sotto i 60 anni è molto bassa. Chi è sano rischia meno di morire».

Il bollettino di guerra quotidiano sui nuovi contagiati, i nuovi decessi e il numero di guariti, le tendenze locali nella diffusione del virus, gli allarmi sulle terapie intensive quasi sature, le previsioni sul “picco”, tutto questo è diventato un appuntamento quotidiano al quale ci stiamo abituando. I tentativi di rassicurazione dovrebbero forse trovare forme migliori.

Perché insistere sugli anziani che muoiono di più? Tanti genitori e nonni hanno più di 80 anni: solleva sapere che a morire sono, e potrebbero essere, soprattutto loro? I nipoti piangono già la sera nei loro letti: chi li porterà agli allenamenti di calcio? Chi li andrà a prendere a scuola? Chi farà loro la polenta la domenica? Sono i vecchi a morire in numero maggiore, ma non è così vero: muoiono i giovani, muoiono gli sportivi, muoiono persone di mezza età. L’Organizzazione mondiale della sanità l’ha detto: «Giovani, attenti, non siete invincibili».

È così. Ma da quando si è deciso di fare tamponi solo ai malati gravi questo messaggio è venuto meno. E i giovani hanno continuato a correre. Quello che passa è, allora, che i sani resistono, i più fragili se ne vanno. I vecchi. E un altro messaggio si radica: i deceduti avevano altre patologie, cioè muoiono “con” il coronavirus, non “di” coronavirus. Già. Solo che spesso il morbo aggiuntivo è l’ipertensione, altre la cardiopatia, altre ancora il diabete. Si poteva vivere ancora insomma, e bene, senza il coronavirus. Angoscia pensare a cosa potremmo diventare, col tempo, se non avremo saputo mettere un filtro di umanità al diluvio di rassicurazioni della comunicazione pubblica (e privata).

«Era anziano», «era già malato»: saranno ancora modi per diluire una sofferenza, aggiungendo una preghiera, o diventeranno la scusa per assolvere una coscienza indurita dall’abitudine e dalla crisi della compassione? Il coronavirus si prende gioco della nostra ossessione per l’età, della paura d’invecchiare: sceglie i sani come veicolo, per colpire meglio. Il sollievo allora non è sapere ogni sera che se ne sono andati in percentuale maggiore i più deboli, ma che stiamo combattendo al 100% tutti insieme, e che solo così ci salveremo.