Opinioni

Prezzari diversi in contesti diversi per salvare ricerca e diritto alla cura. Grandi case e nazioni insieme per la salute dei poveri

Vittorio Sironi mercoledì 3 aprile 2013
​Una sentenza storica destinata a far discutere. È il commento quasi unanime alla decisione presa dalla Corte suprema indiana che ha respinto il ricorso della multinazionale svizzera Novartis per il brevetto dell’antitumorale Glivec, un efficace ed efficiente rimedio contro la leucemia mieloide cronica, «un prodotto non innovativo – secondo la stessa Corte – perché utilizza una molecola già nota», l’imatinib. Lo stesso principio attivo del farmaco potrà così essere prodotto e commercializzato dalle industrie indiane di generici a un costo dieci volte inferiore rispetto a quello dell’industria elvetica. Si tratta certamente di una vittoria per i malati che non sono in grado di pagare cifre ingenti per curarsi anche se l’affermazione che il «diritto alla salute» (o meglio il «diritto di potersi curare») viene prima di tutto – considerazione che è alla base di questa sentenza – ha dei precedenti. Nel 2001 il Sudafrica affermò la legittimità di importare farmaci contro l’Aids a prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato e pochi mesi dopo anche il Brasile legalizzò la produzione nazionale di farmaci contro questa malattia. La stessa India lo scorso anno, con una sentenza analoga a quella attuale, aveva negato alla Roche il brevetto per un farmaco per l’antiepatite C e alla Bayer l’esclusiva per una terapia contro i tumori epatici. Il commento della Novartis a questa decisione è stato drastico e immediato. La tutela della proprietà intellettuale e la necessità che prodotti innovativi siano protetti da brevetti è fondamentale, secondo l’industria svizzera, per poter continuare a investire nella ricerca e nella produzione di nuovi farmaci. Altrimenti, ha affermato l’amministratore delegato della Novartis India, «non ci saranno nuove medicine e senza nuove medicine non ci saranno più nemmeno i generici». Difendere il diritto alla salute nei Paesi meno sviluppati, e in quelli emergenti dove esistono ancora larghe fasce di popolazione economicamente deboli che non possono accedere all’uso dei costosi farmaci brevettati, è un dovere ineludibile. Ma è anche importante riconoscere che, senza un’adeguata protezione della proprietà intellettuale della ricerca, l’industria farmaceutica avrebbe serie difficoltà a svolgere la sua funzione innovativa in ambito sanitario. Da quando, più di centocinquant’anni fa, è iniziata l’industrializzazione della produzione farmaceutica, il farmaco ha cominciato a essere un rimedio sanitario efficace, ma anche un prodotto commerciale sottoposto alle rigide regole del mercato e del profitto economico. Questa sua ambiguità costitutiva non deve però farci dimenticare che si tratta di un “prodotto” diverso da tutti gli altri, perché indispensabile e insostituibile dispensatore di salute, e proprio per questa ragione è necessario che sia messo a disposizione di tutti e non solo di quelli che possono acquistarlo grazie alle loro disponibilità economiche. Tentare di conciliare l’esigenza dei malati, che ovunque si trovino debbono poter accedere alle terapie efficaci disponibili, e quella della Big Pharma (le multinazionali farmaceutiche) che pure, senza esagerare nell’acquisizione dei loro profitti – come troppo spesso accade – o nel rinverdire un vecchio prodotto per rimetterlo sul mercato come “nuovo” (tecnica dell’evergreening e di tutelare i loro brevetti di farmaci innovativi, richiede uno sforzo comune per la ricerca di soluzioni inedite. Come quella di pensare di vendere lo stesso prodotto a prezzi differenziati su mercati forzatamente diversificati da fasce di mercato incomparabilmente differenti, in relazione alle reali possibilità economiche degli utenti, magari attraverso accordi nazionali individualizzati. In tal modo si potrebbe salvaguardare una ricerca industriale che oggi non osa più rischiare grandi investimenti (miliardi di dollari) per produrre una nuova molecola. Mancano farmaci efficaci contro le malattie degenerative del sistema nervoso centrale, da decenni non “escono” nuovi antibiotici e anche la ricerca di terapie antitumorali efficaci non brilla per risultati eclatanti. Una collaborazione leale tra industrie farmaceutiche e nazioni in luogo di uno scontro distruttivo potrebbe aiutare a migliorare la salute di tutti.