Opinioni

L'agenda di settembre. Governo, le vere urgenze. No a scorciatoie

Diego Motta sabato 19 agosto 2023

Dove finisce il marketing della politica, comincia la realtà. E se il marketing della politica rimane indubbiamente un efficace modo di raccontare la realtà e condividerla ormai in tempo reale con tutti, arriva un tempo in cui i problemi presentano il conto e vanno affrontati. La sensazione è che dopo la risacca agostana l’autunno, a partire già da settembre, sarà il tempo della verità, innanzitutto per il governo.

Tante le cose lasciate in sospeso, dal tema del lavoro povero al carovita, dall’agenda rimasta colpevolmente vuota per il mondo giovanile al riordino delle misure per la famiglia, fino alle annose tensioni sociali dimenticate, su tutte i migranti e il carcere. Si fa fatica, a dir la verità, a scorgere nella regia dell’esecutivo un progetto che non sia quello di rinviare la soluzione dei problemi, quando non addirittura di ometterli e parlare d’altro. Se prima, però, la questione riguardava semplicemente lo spostamento a data da destinarsi della decisione da prendersi (si trattasse del “sì” al Mes o del progetto sul salario minimo, attesi nei prossimi mesi) ora stupisce la decisione di spostare direttamente il problema. Lontano e subito, a patto che sparisca dai riflettori. Magari nelle ex caserme, di cui il nostro Paese deve essere particolarmente ricco visto che, a seconda dei casi, sono tirate in ballo dal ministro di turno per ospitare profughi, detenuti, persone fragili. Strategia miope, va detto, che si ripete di decennio in decennio, mentre i drammi si incancreniscono.

Fino a quando sarà possibile nascondere le ferite sociali che il corpo del Paese porta con sé, che c’erano prima e ci saranno dopo qualsiasi esperienza di governo? Fino a quando rinviare la cura, preferendo quella che alcuni commentatori hanno indicato come la “pozione magica” risolutrice di tutto? Forse, finché la natura stessa dei problemi non si presenterà in tutta la sua durezza. È sbagliato ridurre a fenomeni stagionali, come tali destinati a esaurirsi, le proteste per l’abolizione del reddito di cittadinanza, la rabbia montante dei detenuti nelle carceri (di cui il tasso di suicidi è spia inquietante), il picco di sbarchi sulle coste italiane, con annesso svuotamento delle grandi strutture d’accoglienza. Ci sono diverse voci, dalla Chiesa italiana alla società civile, sindacati inclusi, che si sono alzate per chiedere di non chiudere gli occhi adesso, magari per riaprirli poi quando i frutti di politiche poco lungimiranti si vedranno nella carne viva delle città. È necessario iniziare ad ascoltarle, queste diverse voci. E magari provare a fare qualche ragionamento comune, anzitutto perché sono interlocutori credibili e partecipi delle fatiche sociali.

Intendiamoci: la responsabilità di tante emergenze non è di chi è chiamato oggi a governare, anche perché fenomeni epocali come i flussi migratori o il cambiamento climatico sono troppo grandi per essere affrontati durante lo spazio di una legislatura. Però, nonostante le comprensibili ragioni legate al consenso e all’andamento dei sondaggi, bisognerebbe cominciare a trattare questi temi rifuggendo dalla tentazione di scorciatoie e tatticismi. Altrimenti la politica ridiventa esclusivamente marketing e comunicazione: così assistiamo a giornate in cui il bicchiere o è troppo vuoto di idee e l’importante è alleggerire (magari attraverso le scalette di qualche telegiornale), oppure il bicchiere tende a riempirsi fino all’orlo, per evitare di lasciare spazio ad altro. Ma la logica secondo cui non vanno concessi varchi a un’opposizione che certo non brilla per determinazione e creatività rischia di mostrarsi a lungo termine perdente. Meglio sarebbe non aspettare l’autunno per cominciare a fare buona politica, quella che serve per rispondere concretamente alle urgenze dell’agenda sociale.