Opinioni

Napoli. Il piccolo Giuseppe morto di botte: uccidono anche gli occhi che non vedono

Antonella Mariani sabato 20 aprile 2019

Giuseppe non aveva ancora 7 anni ed è stato ucciso dalla brutalità, dalla povertà e dalla mancanza di amore. Ucciso dalla brutalità di un patrigno selvaggio, che lo picchiava a ogni occasione, fino allo scorso 27 gennaio, quando la violenza è andata oltre l’immaginabile. Ucciso dalla povertà e fragilità della madre, annientata nella sua umanità tanto da assistere inerme all’agonia del figlioletto e negli stessi istanti, come risulta dalle indagini, cercare di cancellare le tracce del pestaggio che ha stroncato Giuseppe e ridotto in fin di vita Noemi, l’altra figlia di 8 anni. Entrambi gli adulti sono in carcere e fa male raccontarla di nuovo, all’indomani del Venerdì Santo, questa storia nera che arriva da un paese dell’hinterland di Napoli.

Ma la pubblicazione di parte dei verbali degli interrogatori delle maestre del bambino e delle conversazioni tra loro, intercettate durante la convocazione negli uffici giudiziari, ne ha fatto emergere un altro sconvolgente risvolto.

Ed è una nuda verità che colpisce al cuore: Giuseppe non è stato ucciso solo dalla brutalità e dalla povertà. Non solo il piccolo non è stato amato e protetto da chi avrebbe dovuto farlo per natura e per legge, ma Giuseppe è morto anche per colpa dell’indifferenza di coloro che hanno incrociato la sua breve vita. Dalle indagini è evidente che non lo hanno amato le sue due maestre: vedevano i segni delle percosse ma fingevano di non accorgersene, di non sapere. 'Non si poteva fare niente', prova ad autoassolversi una di loro nella conversazione intercettata. E l’altra, in un istantaneo rinsavimento: 'Non è che non si poteva fare niente… non abbiamo fatto niente'.

Due colleghe avevano scritto alla dirigente scolastica: Noemi era arrivata in classe con un pezzo di orecchio strappato, tumefazioni in volto. Lei, a quanto risulta, e speriamo che non sia vero, ha tenuto nel cassetto la segnalazione, trattandola come una scartoffia qualunque. Sentita come testimone, ha parlato di 'imperdonabile leggerezza'. Imperdonabile non c’è dubbio, ma leggerezza proprio no. Dieci giorni dopo Giuseppe era morto, Noemi in ospedale a disperarsi perché lei e il fratellino erano stati così 'monelli' da meritarsi le botte del patrigno.

No, non è stato amato, Giuseppe, nella sua famiglia e come ormai appare chiaro, nemmeno nella sua scuola. Le maestre e i maestri hanno una responsabilità speciale, da sempre e dovunque: sono le antenne e le sentinelle di ciò che vivono i bambini a loro affidati. Designati non solo a impartire nozioni (è persino banale sottolinearlo), ma a seguire la crescita degli alunni, cogliendone disagi, difficoltà e risorse. Uno spazio protetto, insomma, all’interno della quale i bambini devono poter vivere sicuri, compresi, osservati. Giuseppe sfortunatamente non ha trovato quel genere di maestre e maestri – la stragrande maggioranza – che si prendono a cuore le vite dei piccoli, che se ne sentono intimamente e profondamente responsabili. Ne ha trovato altre, che sembra abbiamo smarrito l’identità di se stesse e del proprio lavoro.

Ma Giuseppe – lo sappiamo ora – non è stato amato neppure dai vicini. Nessuno di coloro che 'dopo' hanno descritto quella del bambino come 'la casa degli orrori' – urla, pianti, rumori sordi – 'prima' ha considerato suo dovere proteggere in qualche modo un inerme (anzi tre, visto che oltre a Giuseppe e Noemi in casa c’era anche una bimba di 4 anni): non esiste agli atti una segnalazione alle forze dell’ordine o agli assistenti sociali. Niente. Anche questa una 'imperdonabile leggerezza'?

E poi l’ultima domanda, che in questa storia inquieta come le altre e forse persino di più: dov’era la comunità cristiana, dov’era quell’«ospedale da campo» che cura le ferite, condivide i dolori, allevia le pene soprattutto là dove la 'famiglia' è ferita e malmessa, di cui sempre parla papa Francesco? Senza puntare il dito contro nessuno, ci si chiede: quante volte si può restare ciechi di fronte alle ferite di un bambino? Quante volte si può restare sordi al suo pianto?

Giuseppe ha trovato, nella sua breve e sfortunata vita, troppi adulti ciechi e sordi e 'disattenti'. Non ha trovato quell’attenzione che ci fa sentire l’uno responsabile dell’altro, soprattutto se l’altro è un bambino che non può difendersi. Un briciolo d’amore in più avrebbe potuto salvare Giuseppe. E anche noi stessi.