Opinioni

Omaggio all'Iraq nel teatro nazionale. Gli artisti italiani ambasciatori di bellezza a Baghdad

Davide Rondoni venerdì 9 novembre 2012
A Baghdad viene buio presto. Le sere sono rapide e declinano, affogando in una luce intensa rosata e oro sui ponti, sul grande fiume, sulle palizzate di cemento. E sulle torrette delle autoblindo. La zona verde – quella più ad alto rischio – è fatta di continui check-point, larghi viali deserti, palazzi governativi in barricate di cemento, alberghi vuoti. Il monumento delle parate usato da Saddam è una spettrale enorme navicella spaziale che pare atterrata nel niente e per niente. La tensione è alta, o viene tenuta alta. Ma molta gente dalla zona rossa della città si sta dirigendo al Teatro Nazionale. Anche la nostra carovana di Suv scortata da milizie brusche e sirene si sta dirigendo là.
Oggi va in scena l’Italia. Gli occhi d’ambra del giovane soldato guardano passare questo strano convoglio dove non ci sono diplomatici o militari. Ma una violinista, alcuni cantanti, un poeta, vari suonatori… Il teatro si sta riempiendo. Sta arrivando l’Italia, non quella dei soldati – che pure qui non hanno lasciato un brutto ricordo – ma quella degli artisti. Nessuno si aspettava tanta gente nel dignitoso un po’ sgarrupato teatrone, brulicante di tecnici gentili, di soldati, di servitori non si sa bene di chi. Arriva un sacco di gente. Alla fine saranno più di millecento persone. 53 televisioni collegate, compresa Al Jazeera international e la diretta di Iraqya Media Network. Perché sono arrivati gli artisti italiani. E nessuno si aspettava questo calore di folla, di entusiasmo. Nemmeno gli organizzatori i ministeri degli Esteri italiano e della Cultura iracheno, che hanno accolto l’idea un po’ folle dell’associazione Minerva della Famiglia Severi, di Law di Laura Guercio, e di Baktiar Amin e di sua moglie Saphia, animatori iracheni di Alj. Ma gli artisti italiani sono arrivati e il teatro si è riempito.
L’Italia è patria della bellezza, lo sanno bene tra Tigri e Eufrate, culla di cultura millenaria e di guerra tremenda. L’Italia, se esiste, è patria della bellezza nata anche in tempi duri (occorre ricordarlo: il ’300, il ’500 non erano periodi facili...). E quindi patria per ogni cuore umano. Qui lo sanno anche grazie all’attenzione che abbiamo avuto per la difesa del loro Museo archeologico. Arrivano gli italiani a portare quel che di meglio hanno da dare al mondo, contro ogni avvilimento dei cuori: la poesia di Dante, Ungaretti, Leopardi, le musiche delle nostre regioni con l’orchestra di musica popolare di Ambrogio Sparagna, il bel canto di Anna Corvino e di Cristiano Cremonini, accompagnati al piano da Francesco Ricci, la passione virtuosistica di Elisabetta Garetti, il sax sognante di Roberto Tomasello… E mentre il teatro stracolmo ascolta la voce di un poeta che legge la preghiera alla Vergine di Dante e un testo contemporaneo, o il tamburo magnetico di Valentina, il canto struggente di Raffaello e la voce fiammante di Eleonora, accade l’Italia nel mondo. Mistica e popolare. 
Così nella sera drammatica di Baghdad avviene non solo un grande evento culturale là dove sembrano dominare solo la guerra e i suoi spettri, ma accade il segno chiaro della nostra vocazione nel mondo: siamo fatti tutti per cercare la bellezza. Il contrario della guerra è l’arte. Perché, lo sappiamo, la guerra non potrà mai essere estirpata del tutto dal nostro cuore – solo i santi hanno questo privilegio di pace. Ma l’arte è la virtù di comporre gratuitamente, il contrario di ogni interessata distruzione. Che strane truppe sono queste, che bizzarri strateghi gli organizzatori di queste cose… E che soldati di strana ventura gli artisti che una vita intera e sola spendono controvento a cercare parole e suoni che uniscono i cuori. E che fan voltare anche gli occhi d’ambra e occhi di ombre.