Opinioni

Tribunali internazionali. Quando la giustizia è messa in dubbio dagli stessi vincitori

Fabio Carminati domenica 8 luglio 2018

Trump a molti sta antipatico. Forse anche perché somiglia molto da vicino a quel compagno di giochi che, pur di non perdere, si portava sempre a casa il pallone. Così “The Donald” ha fatto per il trattato sul clima di Parigi, per l’accordo sul nucleare con l’Iran, per la svolta dei rapporti americani con Cuba. L’elenco delle macerie accumulate in poco più di un anno di mandato è già lungo. Ieri, chiaramente con una portata minore, ha anche rotto una consuetudine in uso da decenni: gli Usa hanno boicottato un incontro informale del Consiglio di sicurezza dell’Onu per ricordare il ventesimo anniversario dello Statuto di Roma che ha creato la Corte penale internazionale (Cpi), di cui gli Stati Uniti (ben prima del suo ingresso alla Casa Bianca) non fanno parte. Non è richiesto che i 15 membri del Consiglio partecipino agli incontri informali, ma è raro per un membro boicottarli, soprattutto se si tratta di un Paese che ha diritto permanente di veto.

Le ragioni che hanno portato americani, russi e altri potentati internazionali a non aderire alla Cpi sono le solite: non vi faccio parte, non può perseguirmi. «Recentemente abbiamo notato preoccupazioni su qualsiasi potenziale indagine della Corte penale internazionale su personale Usa legato alla situazione in Afghanistan», ha spiegato nella notte un funzionario dell’Amministrazione americana. La stessa strada, quella dell’abbandono della Corte, che in questi mesi stanno seguendo anche alcuni “dinosauri” della politica africani per non rendere conto dei crimini dei quali sono accusati in patria.

Ma il depotenziamento dei già depotenziati organismi di giustizia internazionale, finite le stagioni dei tribunali speciali per il Ruanda, l’ex Jugoslavia e altri genocidi, è sotto gli occhi di tutti. Prima di Srebrenica, prima dei corpi di centinaia di migliaia di persone finiti nel lago Vittoria, gli organi di giudizio erano conseguenza dei fatti: lo sdegno, il clamore, la brutalità, accendevano il bisogno di punizione perché «ciò non si ripetesse più». Da quei crimini e dai Tribunali dell’Aja e speciali, il mondo aveva tentato di fare un passo in avanti, per prevenirli. Anche per questo a Roma era nata la Corte penale internazionale. Che si è però via via spenta, proprio sotto le pressioni degli stessi Grandi che non l’hanno mai appoggiata. Non è certo colpa di Trump, lui è solo l’ultimo di tanti russi, cinesi. L’anniversario di Srebrenica e quello del Trattato di Roma viaggiano quasi in parallelo. Come la storia, i genocidi e la verità ancor oggi fanno la fine della giustizia: si fermano a metà.