Opinioni

La risalita della disoccupazione . Troppi lavori senza giovani nell'Italia dei giovani senza lavoro

Michele Tiraboschi mercoledì 2 giugno 2010
Non dovevamo certo attendere la pubblicazione dell’ultimo bollettino Istat per renderci conto della difficile situazione occupazionale in cui versano i giovani italiani. La percezione di insicurezza e precarietà è da tempo diffusa tra i nostri ragazzi e le loro famiglie. Così come è vero che è da almeno un decennio che tutti i principali indicatori del mercato del lavoro – e cioè i tassi di occupazione, disoccupazione e inattività – segnalano la gravità di un problema che assume contorni ancora più nitidi se ci confrontiamo con la realtà degli altri Paesi europei.Eravamo fortemente preoccupati già nel 2008, quando il tasso di occupazione giovanile, anche allora tra i più alti in tutta Europa, raggiungeva il 20%. Peggio di noi stavano solo la Romania (21%), la Polonia (20,5%) e la Grecia che, con il 22,6%, si collocava al primo posto di questa poco invidiabile graduatoria. In soli due anni la situazione è drasticamente peggiorata, in tutta Europa ma in Italia in particolare. Per i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 29,5% con un incremento di quasi dieci punti percentuali. Sono state bruciate in poco tempo le opportunità di lavoro create dalla legge Treu e, a seguire, dalla riforma Biagi se è vero che stiamo lentamente tornando alla situazione del 1997, quanto i tassi di disoccupazione giovanile erano del 33,6%.Come ha ricordato il Governatore della Banca d’Italia, colpendo prevalentemente i giovani la crisi ha, dunque, acuito e fatto esplodere un problema storico del nostro Paese. Le misure anti-crisi adottate dal governo si sono del resto concentrate – e non poteva essere diversamente – sulla coesione sociale e, conseguentemente, sulla tutela del reddito delle famiglie. Gli ammortizzatori sociali hanno così protetto prevalentemente i lavoratori adulti inseriti nel mercato del lavoro da più tempo e con contratti stabili. I contratti temporanei e precari non sono invece stati rinnovati né tanto meno convertiti, come accadeva in passato, in rapporti stabili.Difficile capire ora cosa fare, al di là della sequela dei soliti buoni propositi. Non possiamo illuderci e tanto meno illudere i nostri giovani e le loro famiglie che la soluzione sia dietro l’angolo. Non è a colpi di leggi e decreti che si contrastano la disoccupazione e il precariato. La ripresa della economia e la crescita sono l’unica strada per creare nuovi posti di lavoro.È vero tuttavia che, anche in piena crisi, molte aziende hanno cercato lavoratori da assumere senza però trovarli. Si tratta prevalentemente di mestieri manuali, che i nostri giovani da tempo rifiutano o anche di professionalità che la nostra scuola non insegna più o per le quali non prepara in numero sufficiente rispetto alle richieste del mondo del lavoro. Ad esempio, lo scorso anno non hanno trovato giovani disposti a un lavoro l’80% delle imprese che cercano orafi, esperti di pietre dure, di porcellane artistiche; il 73% di quelle che chiedono doratori; il 70% di quelle che volevano calzolai; il 64% restauratori; il 63% corniciai e, a seguire, con percentuali sempre sopra il 50%, le aziende che vorrebbero reclutare falegnami, valigiai, meccanici di automobili, sarti e modellisti, muratori qualificati, carpentieri, idraulici, piastrellisti, imbianchini cuochi. Si tratta di imprese che non solo non trovano "manodopera" sul mercato, ma non riescono neppure a reclutare apprendisti giovani, dai 15 anni in avanti, perché le leggi nazionali e regionali non funzionano o non sono complete. Solo pochi giorni fa una importante sentenza della Corte Costituzionale ha nuovamente paralizzato il contratto di apprendistato di tipo professionalizzante, quello che serve cioè ad apprendere un mestiere.È così, forse, che possiamo spiegare l’anomalia del nostro Paese che, come tutti gli altri, attraversa una pesante crisi e che però non riesce a valorizzare le opportunità presenti, tante o poche che siano, complicandosi la vita in un labirinto normativo che finisce per penalizzare ingiustamente i più deboli a partire dai giovani e ancor di più dalle giovani donne, specie se residenti nel Mezzogiorno. È sconcertante rilevare che proprio nelle Regioni dove si registrano i più alti tassi di disoccupazione giovanile – Campania, Sicilia e Calabria – non sia ancora operativa, dopo quasi otto anni, la normativa per attuare il nuovo apprendistato della legge Biagi.