Opinioni

Nodo educativo, non accusare le madri. Giovani e droga, le parole che servono

Maurizio Patriciello martedì 24 giugno 2014
Credo che, come tutti noi, il prefetto di Perugia sente che il dramma della droga ci umilia e ci addolora; come tutti noi vorrebbe debellarlo alla radice; come tutti noi è costretto ad ammettere il fallimento di tante iniziative intraprese a riguardo. Nella conferenza stampa di giovedì scorso, che tanto sconcerto ha destato negli italiani, inizia col dire cose sensate, ma finisce – ahimé – col proferire frasi fuori misura. «Siamo in guerra contro chi spaccia – dice –, e questa guerra la combatteremo con grande energia, noi delle forze di polizia e della magistratura. Ma lavoriamo pure sul piano sociale: genitori, scuola, volontariato, parrocchie...». E fin qui tutto bene. Arriva ad affermare – e non succede sempre – che la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere porta nei giovani solo disorientamento, perché «sempre droghe sono».  Avrebbe dovuto continuare a insistere sul problema educativo e sulle scelte politiche a riguardo, usare parole di comprensione per i genitori ai quali, nell’educazione dei figli, è lasciato sempre meno spazio. Invece – chissà perché – scivola sulla classica buccia di banana e comincia rotolare a capofitto. Il tonfo, alla fine della scala, sarà sonoro. Inaspettatamente, infatti, se la prende con le mamme che, a suo dire, se non si accorgono che il figlio è drogato sono delle «fallite». Purtroppo non si rende conto della gaffe e gli scappa detto che meglio sarebbe per loro – provo imbarazzo a scriverlo – suicidarsi. Addirittura! Povere, care mamme. Provo a immaginare quanta inutile dolore abbiano recato loro queste affermazioni, anche se poi seguite da scuse sincere. Non basta il senso di colpa che portano dentro, non bastano le domande che le tormentano: 'Perché? – si chiedono –. Dove abbiamo sbagliato?'. Ma è poi vero che le mamme non si accorgono del figlio che fa uso di stupefacenti?  Generalizzare è sempre un madornale errore. Ogni mamma è un mondo a sé, ogni figlio è un figlio unico da amare e da salvare. Non è vero che non si accorgono della trappola nella quale è caduto il figlio, nella stragrande maggioranza dei casi sanno benissimo le cose come vanno. Ma un conto è sapere, altra cosa è sapere che cosa fare; come e con quali mezzi intervenire.  Il tossicodipendente, fin da quando ha inizio la sua disavventura, impara a mentire. Soprattutto ai genitori. Nega, se fosse possibile, anche l’evidenza.  La mamma intuisce, chiede, accusa; lui nega, urla, minaccia, giura. Anche alla mamma più intraprendente allora viene il dubbio. Ma perché continuare a parlare solo delle mamme?  Ancora una volta sulla donna viene gettato il peso della croce; ancora una volta assurge a cirenea incompresa della famiglia, della società. La responsabilità dell’educazione ricade su entrambi i genitori. Il più delle volte la mamma non è una casalinga a tempo pieno. Esce la mattina per andare a lavorare fuori casa e ritorna la sera per riprendere a lavorare dentro casa. Il peso che porta è enorme, i sacrifici non si contano. Il prefetto è sembrato non conoscere bene questa che è la realtà.  La frase con cui ha concluso la conferenza stampa – «Se avessi un figlio lo prenderei a schiaffi...» – fa pensare che, se si fosse trovato a che fare con un figlio che si è lasciato ammaliare dalla droga, ben presto si sarebbe accorto che prenderlo a schiaffi serve a poco. Sono convinto, invece, che come tanti padri, anche lui passerebbe notti insonni alla ricerca di una soluzione da trovare. E si darebbe da fare, come tanti genitori, per salvarlo. Nelle parole che abbiamo udito e letto si nota la stessa rabbia, figlia dell’impotenza, che alberga in tutte le persone di buona volontà nel vedere tanti giovani bruciare stupidamente gli anni più belli della loro unica esistenza. Le conclusioni, però, avrebbero dovuto essere ben altre. Invece la parola ha detto più del pensiero. Ne sono convinto. «Poni, Signore, una custodia alla mia bocca...».  Resta il fatto che la droga è un dramma irrisolto e per certi aspetti accantonato, il cui peso ricade soprattutto sulle famiglie del malcapitato. Dobbiamo fare di più. Tutti. Torniamone a parlare a mente serena. Per il bene dei nostri giovani e delle future generazioni.