Opinioni

Una santa alleanza laica a difesa del «Dies Dominicus» . Giorno senza prezzo

Francesco Riccardi sabato 3 marzo 2012
C’è un giorno che è come nes­sun altro. Perché libero, fe­stivo, speciale. E che perciò va pre­servato dall’obbligo invadente del lavoro, del vendere e del comprare. In difesa della Domenica – del Dies dominicus – così, domani scenderà nelle piazze di 12 Paesi europei una "santa alleanza" laica. Costituita da sindacati di varia estrazione, asso­ciazioni della società civile, assieme alle comunità cattoliche, protestanti e ortodosse. Tutti uniti nella Euro­pean sunday alliance, appunto, per ribadire il carattere particolare e fondamentale della domenica. Il problema è di tutto il Continente, per le spinte sempre più forti a pro­durre e vendere a ciclo continuo. Nel nostro Paese, però, i volantinaggi che saranno organizzati dalle fede­razioni del commercio di Cgil, Cisl e Uil in una decina di città assumo­no un significato particolare all’in­domani del decreto "Salva-Italia". A fine 2011, infatti, il governo Monti ha improvvidamente liberalizzato gli orari dei negozi, che potranno re­stare aperti 24 ore su 24, e tutte le 52 domeniche di un anno. Una norma non ancora pienamente in vigore – e sulla quale alcune Regioni hanno già annunciato ricorso alla Consul­ta – ma che è emblematica di una deriva culturale. Un nuovo "pensie­ro unico" che maschera come una maggiore libertà e progresso, ciò che in realtà è un impoverimento e una restrizione della libertà stessa, sen­za alcuno sviluppo certo. Beninte­so, il lavoro domenicale è sempre e­sistito e nessuno ha mai posto in dubbio che vadano assicurati i ser­vizi essenziali: dalla sanità ai tra­sporti. Così come nelle località tu­ristiche, l’accoglienza viene assicu­rata anche e soprattutto nelle festi­vità, compensando col riposo in al­tri giorni e tempi dell’anno. Ma spin­gere perché l’intero commercio (e su un piano parallelo l’industria) a­dotti un modello di apertura senza soluzione di continuità, denuncia una visione meramente economi­cista. Espone un numero sempre crescente di lavoratori allo stress di barcamenarsi tra turni impro­babili, con le immaginabili diffi­coltà a seguire i figli, a stare insie­me in famiglia, a vivere la dome­nica come il giorno non solo del ri­poso, ma della riflessione perso­nale, della preghiera per i creden­ti, della partecipazione alla vita co­munitaria per tutti. La crisi, sostengono in molti, si bat­te moltiplicando le occasioni d’ac­quisto, facendo ripartire i consumi interni. Una teoria economica tut­ta da verificare, quando per molte famiglie a far difetto sono le entra­te. Quando i salari sono fermi da anni e l’inflazione erode grande­mente il potere d’acquisto. Ma che, soprattutto, svela il vero ribalta­mento di valore nel quale si rischia di lasciar scivolare le domeniche e le festività. Al centro, infatti, viene posta la merce, lo scambio profit­tevole, tutt’al più un tempo libero da riempire di divertimento a pa­gamento, in quei centri commer­ciali destinati a soppiantare il ritro­varsi nelle piazze cittadine. Per­dendo la dimensione della gratuità dei rapporti fra le persone, che – se­condo una grande tradizione e­braico- cristiana che si è fatta tradi­zione civile – è invece proprio la ci­fra costitutiva della festa. Il rischio è che le domeniche ven­gano frammentate, rese omogenee agli altri giorni della settimana. Co­me un martedì o un giovedì qual­siasi, che differenza fa riposare in mezzo alla settimana? Il tempo del­la festa viene scomposto, sminuz­zato in tanti periodi di "riposo" sin­golo. Si perde così la possibilità di sincronizzare con gli altri il proprio tempo, di fare 'festa assieme', ve­ramente liberi. Un paradosso del­la modernità: sempre intercon­nessi tramite le tecnologie, mai li­beri di incontrarsi tutti insieme in un tempo reale e non virtuale. E u­na società asincrona, dove ognu­no vive il proprio tempo non coor­dinato con quello degli altri, è un tessuto più fragile, più povero, non certo più ricco. Tutto, in fondo, oggi si può vendere e comprare. Ma la domenica, che è la nostra libertà insieme personale e collettiva, non ha prezzo.