Opinioni

Tecnologia. G7, IA e regole: addomesticare gli algoritmi

Paolo Benanti sabato 27 aprile 2024

L’invito fatto a papa Francesco per il G7 riflette e rende evidente una trasformazione radicale che ha attraversato le democrazie negli ultimi decenni: la comparsa e la diffusione di una nuova forma di potere, il potere computazionale.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, per scopi bellici, furono sviluppati i primi computer: Colossus, creato a Bletchley Park nel Regno Unito e, negli Usa, l’Atanasoff-Berry Computer (Abc) e l’Eniac. Nell’immediato dopoguerra, a partire dagli anni ‘50, l’introduzione dei transistor al silicio ha permesso la creazione di computer più piccoli, veloci e affidabili mentre i circuiti integrati, apparsi negli anni ‘60, hanno ulteriormente ridotto le dimensioni e i costi, aumentando la funzionalità dei computer. Si inaugura così una stagione in cui si diffonde la potenza computazionale nella società. In quegli anni questa distribuzione della potenza computazionale avviene confinandola in mainframe centralizzati. Sarà solo nel decennio successivo, negli anni ’70, con l’avvento dei microprocessori, che questa potenza computazionale viene democratizzata e diffusa tra le persone. L’Olivetti Programma 101, prodotto nel 1965, è stato uno dei primi esempi di personal computer. Tuttavia è la comparsa di una nuova corrente culturale che possiamo definire – ci si perdoni il gioco di parole – come “Bit generation”, che ha prodotto il profondo meccanismo di decentralizzazione dei decenni seguenti. La rivoluzione tecnologica si è nutrita dal seme della controcultura californiana degli anni ‘60. Il centro di questo modo di vedere il computer e l’informatica è stato ed è la Silicon Valley, con l’ideale comunitario dei figli dei fiori, la loro indole libertaria, la voglia di allargare gli orizzonti e il disprezzo per l’autorità centralizzata a fare da asse portante per i fondamenti filosofici ed etici di Internet e dell’intera rivoluzione del personal computer. La rete si è diffusa proprio verso il crepuscolo di quell’esperienza.

La fine di questo processo di democratizzazione si è avuta verso la fine del primo decennio di questo secolo con l’avvento dello smartphone. Nel momento in cui la potenza computazionale personale ha iniziato ad abitare le nostre tasche ha iniziato anche a sottrarci una certa autonomia: lo smartphone ha bisogno di un sottostato invisibile e fondamentale, la rete, che ne garantisce l’operatività e che nutre il potere computazionale tascabile che abbiamo, datificando le nostre esistenze personali. Ma se la nostra esistenza e la nostra capacità di agire nello spazio pubblico si è riconfigurata in forma digitale, il nostro diritto e potere di cittadinanza è divenuto di fatto computazionale.

Oggi le nostre esistenze democratiche sono esistenze computazionali. La democrazia divenuta computazionale sfrutta oggi anch’essa le potenzialità delle tecnologie informatiche per rendere più efficace e inclusiva la partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche. Tuttavia, se il primo decennio del secolo si è concluso con le primavere arabe facendoci sperare che il digitale connesso fosse lo spazio dove si sarebbe diffusa e rafforzata la democrazia liberale, la fine del secondo decennio, con la rivolta di Capitol Hill, ha iniziato a farci temere per il futuro della democrazia nello spazio digitale-computazionale.

L’avvento delle intelligenze artificiali sta di nuovo cambiando l’orizzonte. I servizi dell’IA sfocano il confine tra potere computazionale personale e potere centralizzato nel cloud: nell’usare i nostri telefoni non sappiamo quasi più cosa venga eseguito in locale e cosa in cloud. Questa nuova forma di centralizzazione nei cloud però adesso porta con sé anche una centralizzazione della capacità computazionale personale associata alla democrazia. La domanda da affrontare allora sarà come rendere democratico il potere centralizzato del cloud e dell’IA evitando che la democrazia computazionale collassi in una oligarchia del cloud. L’attenzione al grande mondo della IA che stanno mostrando i governi e le organizzazioni internazionali è espressione di questa consapevolezza: capacità computazionale e algoritmi sono oggi le nuove facce del potere.

La presenza del Santo Padre in Puglia per il G7 in giugno accende un faro di speranza: la voce moralmente autorevole del Pontefice potrà accompagnare questa presa di coscienza globale irrorandola di quei contenuti etici e sociali che formano il cuore della Dottrina sociale della Chiesa. Solo se sapremo addomesticare l’innovazione dell’IA con i guardrail della sussidiarietà e della ricerca del bene comune potremo sperare in un progresso che sappia farsi autentico motore di sviluppo umano. Guardiamo a giugno allora con speranza, perché l’algoretica possa diventare un cardine di questa stagione.