Opinioni

Il direttore. Fiom: davvero il miglior contratto è quello non firmato?

martedì 17 agosto 2010
Caro direttore,dopo più di trentasette anni di attività nella Cgil, per la maggior parte nella Fiom – sono stato responsabile della formazione Fiom-Lombardia (e non solo Lombardia) –, devo confessare che non riesco più a capire. Non che negli ultimi anni di attività – da poco sono in pensione – andasse meglio, ma... e un po’ di responsabilità mi rode, perché Maurizio Landini è stato mio allievo ai suoi esordi. Sorvolo sulla vicenda dei tre licenziamenti di operai Fiat, non perché meno importanti, ma perché rientrano nel quadro generale. Non sono un fan di Marchionne, ma, a mio giudizio, sta attuando quello che da tempo, molto tempo, si sarebbe dovuto fare. Non entro neppure nel merito dell’applicazione o meno del Ccnl, perché gli strumenti per trovare un accordo ci sono, e solo la Fiom non li vuol vedere. Fare il sindacato del "no", seguire la "linea" fuori tempo, e ora conservatrice-restauratrice dell’epoca in cui il miglior accordo è quello non firmato, mi pare bizzarro e, soprattutto, suicida. A mio giudizio il nocciolo vero sta tutto nella competitività, della quale fa parte la risposta just-in-time al mercato. Diciotto turni significa lavorare su 3 turni di 8 ore per 6 giorni. Tempi e metodi rigidi, nei quali assenze oltre un certo limite, o blocchi della produzione, mandano all’aria la programmazione per settimane o mesi. Non tenerne conto, ripeto, è suicida. Si può produrre così? No. Si può essere competitivi così? No. Da sindacalista, però, cioè ragionando per la mia parte, vedo questa non come una battaglia d’avanguardia per le "future sorti e progressive". E neppure una difesa di retroguardia. Più che un voler conservare, è un voler restaurare i "mitici" anni nei quali in fabbrica «non si muove bullone che il sindacato non voglia». Le ripeto, e chiudo: non li capisco più. Peggio, se questi sono i risultati del pur modesto impegno alla formazione dei dirigenti, preferirei non averla fatta. Che tristezza, che pena. Per la mia, pur insignificante parte, chiedo scusa. Suo devoto lettore

Bruno Crespi, Cassano Magnago (Va)

Grazie, caro dottor Crespi, per averci messo a parte della sua riflessione e della sua amarezza. Credo che siano entrambe utili per fa crescere nel mondo del lavoro e dell’impresa un dibattito libero da luoghi comuni e riflessi condizionati. Anche questa è una seria urgenza del Paese. (mt)