Opinioni

Filastrocche e poesie ci ricordano che il vaccino è dono. E spetta a tutti

Marco Tarquinio martedì 14 dicembre 2021

Caro direttore, incoraggiato dalla posizione esemplare assunta da “Avvenire” a favore della campagna vaccinale e in vista dell’imminente apertura delle vaccinazioni per la fascia di età 5-11 anni, condivido con lei e con gli amici lettori la “Filastrocca dell’abete” che ho composto assieme a mio figlio Mattia, 8 anni. «Disse un giorno in chiesa il prete: / per mangiare il panettone, / serve fare cose buone. / Per ricever poi dei doni, / regalate amore e pace, / a chi tace, a chi è loquace, / a chi forse non vi piace, / a chi è solo, a chi sta male, / anche a poveri e stranieri, / solo allora dir potrete / di sentirvi bimbi veri. / Aspettando Capodanno / le palline colorate / spunteranno dall’abete / come spille un poco inquiete. / Luci rapide, nel cielo, / viaggeranno le comete, / come il vostro desiderio / di addobbare un bel presepe. / Senti un po’, Babbo Natale, / parlo piano, che non senta, / quel simpatico curato / sembra un uomo assai ottimista, / ma non crede che tu esista. / Ti dicevo: facci un dono, / basta maschere e distanze / stringi tutti in un abbraccio / e chissà cosa accadrà. / Forse la Felicità / tornerà a far capolino / e con lei la Gentilezza / spunterà con un inchino / e dirà: bambini belli, / per cambiare un po’ il destino, / sotto l’albero tra i doni, / ricordate c’è il vaccino ». Ecco, direttore, ci basterebbe aver suscitato un sorriso.

Luca e Mattia Munno

Gentile direttore, trovo nauseanti le implacabili sciocchezze dei no-vax, no-pass, no tutto. Con questo stato d’animo, per me non è stato piacevole leggere su “Avvenire” la poesia di Guido Oldani “Vaccini di piombo” basata su uno stucchevole luogo comune dei no-vax. È vero o non è vero che per arrivare a commercializzare un nuovo farmaco occorrono anni di ricerche, decine o centinaia di tentativi, vari e rigorosi livelli di sperimentazioni, sostenendo spese complessive sull’ordine di grandezza del miliardo di euro? È vero o non è vero che tutte le industrie farmaceutiche capaci di produrre novità di rilievo sono di società private, per cui le spese dovute ai costanti e sicuri insuccessi di ricerca, e vicoli ciechi impraticabili, fanno parte del rischio d’impresa? Se tutto ciò è vero, come è possibile che il brevetto di un farmaco sia un «pretesto infame» quando serve a garantire il sostegno di tutto l’ambaradan, compreso il finanziamento per la ricerca della stessa industria farmaceutica? Oldani avrebbe dovuto scrivere un libello poetico avverso agli Stati regolarmente assenti in questo impegno...

Paolo Giardini


Caro Giardini, pubblico la sua lettera subito dopo quella del lettore Luca Munno e di suo figlio Mattia che, indirettamente, già le rispondono con il sorriso suscitato dalla loro solare filastrocca. La linea di “Avvenire” è chiarissima e arcinota e mi meraviglia che lei provi a raccontarla al contrario. Ma quale luogo comune no-vax nobilitato dalla poesia! Siamo talmente sì-vax da volere “vaccini per tutti”, anche per coloro che dalle vaccinazioni sono esclusi per povertà ed emarginazione. E da lavorare per mostrare la fragilità delle posizioni no-vax non per sussiego o nausea, come lei scrive (rispettiamo tutti), ma perché siamo giornalisti seri, e da cittadini e cristiani siamo per davvero preoccupati del bene comune (e in questo caso, come ogni volta che c’è in ballo la vita umana, il vero bene comune è evidentissimo). I versi di Guido Oldani insistono sul primo punto, la condivisione delle cure, a cominciare dai vaccini, con tutti. E sono espressione, anche stavolta, della forza morale e della libertà di un Autore che lei stesso dimostra di conoscere bene. Oldani reclama alla sua maniera ciò che anche noi di “Avvenire” chiediamo dà molti mesi, che primo tra tutti il Papa chiede, che il segretario generale dell’Onu Guterres chiede, che una campagna mondiale chiede, che un’infinità di illustri scienziati chiede, che la gran parte dei Paesi del mondo vorrebbe e che lo stesso presidente Usa Biden sollecita, ovvero la sospensione dei brevetti di vaccini e altri farmaci anti- Covid. Sospensione che, con un equo indennizzo ai detentori degli stessi, è prevista dai Trattati del commercio mondiale proprio in circostanze di grave emergenza (sanitaria) come quelle che stiamo vivendo.

Ho scritto e fatto scrivere così tante volte di quanto mi vergogni, da europeista appassionato quale sono, per la linea della Ue, che continua a paralizzare le decisioni in tal senso, che stavolta mi fermo qui. Non smetteremo di batterci per questo risultato. La pressione dell’opinione pubblica può moltissimo.

Quanto alle sue domande, le replico con altri interrogativi fondati su fatti nudi e crudi: abbiamo documentato più volte le ingentissime somme che gli Stati hanno versato alle società farmaceutiche per finanziare la ricerca sui vaccini anti-Covid, possibile signor Giardini che le sia sfuggito tutto? Ha almeno ascoltato il nostro presidente del Consiglio Draghi ricordare, a suo tempo, che «oltre il 90%» dei fondi decisivi per il coronamento di quella ricerca vengono dalle casse pubbliche di diversi Paesi? Ha constatato o no che in questi mesi, mentre gran parte dell’umanità restava senza protezione davanti alla pandemia, le società produttrici hanno incamerato utili stellari? Sospendere un brevetto in una situazione di emergenza non significa fare qualcosa di strano, né rubare. Significa fare semplicemente ciò che è giusto per tutto il tempo necessario. Nella cornice della legalità internazionale e secondo umanità. Perché senza umanità nessuna legalità ha anima e forza. Ed è l’umanità che spinse Sabin e Salk – Giulio Albanese l’ha ricordato sulle nostre pagine lo scorso primo dicembre – a resistere a tutte le pressioni per registrare i vaccini anti-polio. «Il sole non si brevetta », disse Salk. Che rinunciò al brevetto come Sabin, e non si limitò a sospenderlo come oggi ragionevolmente si chiede. Un esempio solare, quello, come la filastrocca di Mattia e di papà Luca. Che i grandi del mondo e d’Europa siano all’altezza.