Il direttore risponde. Fede (trovata e ritrovata) di migranti: pure così il Vangelo si fa nuovo tra noi
Caro direttore,
alcuni giorni fa ho letto con immensa gioia sul nostro giornale (sono abbonato ad "Avvenire" da venti anni) della conclusione dell’itinerario catechistico in tante diocesi, dove – la notte del Sabato Santo – tanti catecumeni adulti hanno ricevuto i sacramenti della iniziazione cristiana. Anche nella Diocesi di Pescara-Penne undici adulti, in maggioranza provenienti dai Paesi balcanici, hanno ricevuto questa grazia. In particolare, desidero testimoniare la crescita – come cittadino e come cristiano – del giovane Niklekaj Aurel, albanese di famiglia cristiana, che non aveva potuto ricevere il battesimo nel suo Paese a causa dell’antico regime dittatoriale e ateista. Ho conosciuto Aurel un anno fa, perché mi era stato segnalato da un’amica pescarese e neocatecumenale per aiutarmi in alcuni lavori in giardino. Mi colpì la sua mitezza e il suo assillo a conoscere meglio Gesù: mi tempestava di domande: «Perché Dio si è fatto uomo? Perché è stato ucciso Gesù?...». E mi confidava che da quando aveva conosciuto Gesù si sentiva felice, che lo rincuorava pensare alla morte non come la fine di tutto, ma come il passaggio alla vita eterna. Nel cercare di rispondere alle sue domande, non nascondo di essere cresciuto nella fede insieme a lui. Che stia per cominciare la ri-evangelizzazione dei nostri Paesi occidentali attraverso i fratelli migranti dall’Est europeo e dal Vicino Oriente?