Opinioni

Fare la pace vuol dire non dormire, prepararsi, unire le forze. Comincia tu, adesso

Alessandro D’Avenia sabato 17 dicembre 2011
«Ho 15 anni e vedo il mondo andare a rotoli. Diamo la colpa a politici, banchieri... Io sono sicura che la colpa invece è nostra. Ci arrabbiamo per cose futili, piut­tosto che farlo per cose importanti. E sono davvero arrabbiata... ognu­no di noi sta gettando al vento le proprie speranze, si parla di crisi, recessione, denaro, potere, quando la gente avrebbe bisogno di sentir parlare un po’ più di amore. Ci stia­mo sottomettendo come animali in cattività, ci scanniamo l’un l’altro, non siamo più consapevoli dei no­stri diritti e ci riesce facile dare la colpa ad altri. Come mai riusciamo a dare la nostra fiducia a fantocci che appaiono in tv e non riusciamo a voler bene alle persone che ci so­no accanto? Abbiamo pregiudizi, che ci avvelenano, ci distruggono. Quello di cui ho bisogno adesso for­se sono parole di conforto, qualcu­no che mi dica che andrà tutto be­ne e invece trovo soltanto persone che si rassegnano, che credono che la situazione potrà solo peggiorare. Probabilmente sarà così ma, caro Alessandro, io le mie speranze non le mollo. Lei cosa pensa che i giovani debbano fare per farsi valere? Odio la violenza e con questa manipola­zione mediatica una manifestazio­ne pacifica passerebbe inosservata. Conosco ragazzi con opinioni forti, che ogni giorno provano a farsi va­lere, siamo tanti, siamo arrabbiati, ci soffocano le grida in gola e nes­suno ci ascolta: 'Tanto siamo solo ragazzi'. Cosa dobbiamo fare?» Cara F., la tua lettera mi giunge in un mo­mento in cui anche io mi chiedo: cosa posso fare, posso ancora spe­rare, a che serve lottare tutti i gior­ni a scuola, scrivere, parlare? Anche io, a volte, ho la tentazione di mol­lare. Poi però puntuale arriva qual­cuno a risvegliarmi dal torpore sot­tile e virulento del disfattismo. In questo caso, insieme alla tua let­tera, è stato il discorso di Benedet­to XVI per la Giornata della Pace, nel quale dice che la questione è edu­cativa e i veri protagonisti i giovani: «Vorrei dunque presentare il Mes­saggio in una prospettiva educativa: 'Educare i giovani alla giustizia e al­la pace', nella convinzione che es­si, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo». Come dici tu: dipende da te e me. Lasciamo perdere quel teatrino di fantocci e rimbocchiamoci le ma­niche tu e io: ci saranno due furbi in meno. Forse non risolveremo mol­to, e forse ci prenderanno anche in giro, ma almeno ci potremo guar­dare allo specchio, sereni. Io voglio fare il possibile nello spa­zio che mi è dato adesso: a scuola, in famiglia, con gli amici, sui gior­nali, nei libri che scrivo. «L’educa­zione è l’avventura più affascinan­te e difficile della vita. Educare si­gnifica condurre fuori da se stessi per introdurre alla realtà, verso una pienezza che fa crescere la perso­na. Tale processo si nutre dell’in­contro di due libertà: la responsa­bilità del discepolo, che deve esse­re aperto a lasciarsi guidare alla co­noscenza della realtà, e quella del­l’educatore, che deve essere dispo­sto a donare se stesso. Per questo sono più che mai necessari auten­tici testimoni, e non meri dispen­satori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vi­ta abbraccia spazi più ampi. Il te­stimone è colui che vive per primo il cammino che propone». Vedi, qui siamo in gioco tu e io. Io provo tutti i giorni a donare me stes­so in questa avventura, ed è fatico­so, spesso fallimentare, ma so an­che che la pienezza della mia vita viene proprio dal donarsi. Io li ve­do quegli spazi più ampi, ma non in sogno, li vedo realizzarsi giorno dopo giorno. S olo l’amore, che tu invochi, è forte come la morte: solo se io provo ad amare i miei alunni, i miei colleghi, le mie materie, riesco a sottrarre i miei alunni, colleghi, materie, alla morte a cui siamo tutti destinati. E tu? «Anche i giovani devono avere il coraggio di vivere prima di tutto essi stessi ciò che chiedono a coloro che li circondano». La tua lettera è già un modo di farlo. Tu, F., non lasciare che quel grido ti si blocchi in gola, e comincia tu, nella tua scuola, nella tua famiglia, nel tuo quartiere, insieme ai tuoi amici. È faticoso essere testimoni, F. A volte mi chiedo chi me lo fa fare, ma poi penso che ci sei tu: sei tu che me lo fai fare, e fosse anche solo per te, io ricomincio. E noi due saremo due «sentinelle che aspettano l’aurora» di un mondo nuovo che, nel nostro piccolo, avremo contribuito a lasciar crescere. Senza violenza, ma unendo le forze, cambiando le cose dove possibile e prendendo anche qualche sberla. L’alternativa è dormire, F.: fregarcene. Ma che noia è la vita senza ricerca della verità, senza impegnare la libertà, senza lotta, senza Dio.