Opinioni

Una riflessione potente, qualche pensiero rischioso e un compito. Ma non possiamo («per noia») farci stranieri a noi stessi

Ferdinando Camon sabato 23 aprile 2011
«Non siamo forse noi diventati in gran parte un popolo dell’incredulità e della lontananza da Dio? Non è forse vero che l’Occidente, i Paesi centrali del cristianesimo sono stanchi della loro fede e, annoiati della propria storia e cultura, non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo?»: incontrando queste parole nel discorso del Papa, mi è tornata in mente la pietra che segna il confine fra Turchia e Grecia. Uscivo in auto dal territorio della Turchia, oltrepassavo la striscia fra Stato e Stato che si chiama "Terra di nessuno", entravo nel primo metro di terreno greco, e mi son visto davanti la pietra che annuncia la Grecia: «Ellàs, chòra ton christianòn», Grecia, Terra di cristiani.Ho guardato a lungo quella scritta, incantato. C’è dunque un popolo sulla Terra che ti accoglie a braccia aperte e per rallegrarti ti avverte: «Qui sei fra cristiani».Che vuol dire: nella tua religione. Cioè: nella tua fede. Cioè: nella tua cultura. Cioè: nella tua patria. Cioè: nel tuo paese. Cioè: nella tua casa. Cioè, alla fin fine: nella tua famiglia.I greci sono il popolo che ha introdotto nella storia il concetto di «straniero» come parlante altra lingua. I greci dicevano che gli stranieri parlano «la lingua delle rondini». Sto per esprimere un concetto delicato, e non vorrei essere frainteso: per i greci, tu eri fuori casa quando eri fuori della lingua greca; per i romani, quando eri fuori dell’impero; per noi oggi, che viaggiamo spesso, la vera sensazione di essere lontani da casa ce la dà il trovarci fuori del cristianesimo. In tal senso (ecco il punto delicato, che non vorrei fosse frainteso), la Turchia ci è più lontana degli Stati Uniti, Istanbul – purtropo – più di New York. Tu vai a New York e ti senti nel tuo mondo, vai a Istanbul e ti senti in un altro mondo. Ora, che cosa dice il Papa, dicendo che «l’Occidente, noi, Paesi centrali del cristianesimo, annoiati della nostra storia e cultura», «siamo diventati un popolo dell’incredulità», e dobbiamo stare attenti a non diventare «un non-popolo»? Dice che la storia che stiamo avviando non va nella prosecuzione della storia che abbiamo alle spalle, ma segna una contraddizione. Il disagio, il senso d’insicurezza che avvertiamo nei lunghi viaggi, quando usciamo dalle aree della civiltà cristiana, lo avvertiamo anche in quel viaggio nel tempo che è la vita: settanta, cinquanta, quaranta, trenta anni fa, la nostra vita, la nostra civiltà, la nostra Europa, erano più vincolate al cristianesimo, se allora eravamo un popolo cristiano, la progressiva perdita di valori cristiani rischia di farci diventare un non-popolo. Mezzo secolo fa sarebbe stato inconcepibile per l’Europa il pensiero di darsi una Costituzione in cui non fossero affermate le sue radici cristiane. Perché esse non sono una valutazione ideologica, sono storia.Ignorare le radici cristiane vuol dire ignorare la storia. Diventare "stranieri a se stessi".Se posso permettermi un altro pensiero rischioso (ma non vorrei che alla fine del discorso fossero troppi), rinnegarsi. Da popolo diventare non­popolo. Cioè, per coloro che sono giunti alla conclusione della vita, essere nati in una civiltà e morire in un’altra. Non per la forte attrazione di un’altra civiltà, ma, dice il Papa, perché «annoiati della propria storia e cultura».È importantissimo il termine "noia", che indica stanchezza e indifferenza: non a caso, in Italia, lo scrittore che ha scritto un romanzo intitolato "La noia", aveva esordito con un altro romanzo intitolato "Gli indifferenti". Sono la noia e l’indifferenza a portare un popolo a perdere i suoi valori e diventare un non-popolo.C’eravamo tanto interrogati, sui significati di quei romanzi. Le storia letterarie ce ne han presentati parecchi. Ecco che oggi ne scopriamo un altro.