Opinioni

Turchia. Rifugiati siriani: il boomerang dei patti scellerati sulla pelle dei poveri

Maurizio Ambrosini domenica 13 ottobre 2019

Alla fine la cambiale è andata in pagamento. L’Unione Europea, Germania in testa, ha delegato alla Turchia il controllo dei flussi di rifugiati dall’ecatombe siriana che non voleva accogliere sul proprio suolo, versando alcuni miliardi di euro (dovevano essere sei, ma le cifre sui costi effettivi sono controverse), e poi di fatto tollerando tra flebili proteste l’autoritarismo crescente del regime di Erdogan. La Ue ha contribuito così a fare della Turchia il primo Paese al mondo per accoglienza di rifugiati internazionali: 3,7 milioni, pari a 45 ogni mille abitanti. L’Italia a fine 2018 era a poco meno di quota 300mila tra rifugiati riconosciuti e richiedenti, pari a 5 ogni mille abitanti.

Ora il 'sultano' di Ankara ha buon gioco nel minacciare la Ue di ritirarsi dal ruolo di 'guardia di frontiera esterna', espellendo o lasciando transitare i profughi siriani. Già la Nato e la Germania hanno abbassato i toni delle proteste, richiamando le ragioni di Ankara, gli attentati subiti e i confini da vigilare.

Pregano Erdogan di non colpire troppo i civili, come se le bombe fossero così intelligenti da distinguere i propri bersagli. Le eventuali sanzioni difficilmente saranno poco più che simboliche. Si contesta spesso ai difensori delle ragioni umanitarie di peccare di scarso realismo, di non valutare adeguatamente i costi della tutela dei diritti umani e dell’accoglienza. Ora dovrebbe essere più chiaro che anche il pragmatismo e la realpolitik hanno seri e forse maggiori costi, che non riguardano soltanto le vite dei curdi, ma anche la situazione di scacco in cui la Ue si è infilata per sfuggire ai propri obblighi umanitari, la drammatica impotenza a cui si è consegnata per paura di accogliere altri rifugiati. Ma c’è un altro risvolto della questione che appare inquietante e foriero di nuove tensioni nello scacchiere mediorientale.

Erdogan ha fatto sapere che intende sgomberare dai curdi la zona di confine con la Siria per insediarvi un numero imprecisato di rifugiati siriani accolti in Turchia. Vuole non solo attuare una pulizia etnica, ma anche una sostituzione di popolazione. Quella dei rientri dei rifugiati in patria è un’altra nota dolente delle politiche dell’asilo. I ritorni continuano a riguardare soltanto una modesta proporzione dei migranti forzati, nonostante gli sforzi dei governi per rimandarli nei luoghi di origine. Nel 2018 hanno interessato, in tutto il mondo, 593.800 persone, in diminuzione rispetto alle 667.400 del 2017. I rifugiati siriani in Turchia sarebbero prevalentemente favorevoli a tornare in patria, date anche le condizioni di precarietà economica ed esclusione sociale in cui molti si trovano.

Ma perché il ritorno possa realizzarsi occorrono delle condizioni basilari: la presenza di infrastrutture civili ed economiche in grado di funzionare. Ossia acquedotti, reti elettriche, ospedali, scuole, aziende in grado di fornire occupazione. Come nota l’Acnur/Unhcr nel suo rapporto di quest’anno, «perché i ritorni siano fattibili, è decisivo il fatto che non avvengano precipitosamente o prematuramente, in assenza delle condizioni per una reintegrazione sostenibile». Quella che Erdogan ha in mente è piuttosto una deportazione di popolazioni fragili, che prelude al loro abbandono, per di più sul territorio di una minoranza che non subirà passivamente l’esproprio delle proprie città e villaggi.

Altri conflitti e sofferenze si profilano all’orizzonte. Da entrambi i versanti, quello del contenimento dei rifugiati in Turchia e quello della loro dislocazione forzata nelle regioni curde della Siria, si ricava un insegnamento per ciò che resta delle istituzioni internazionali devastate dalla rinnovata e accresciuta autoreferenzialità e arroganza dei 'grandi': serve una governance globale dell’asilo. Un accordo sotto l’egida dell’Onu che redistribuisca più equamente gli oneri dell’accoglienza tra le diverse regioni del mondo, preveda corridoi umanitari e reinsediamenti volontari dopo la prima accoglienza nei Paesi limitrofi alle aree di crisi, valorizzi l’impegno umanitario di soggetti non statali come le comunità religiose, le istituzioni locali, le associazioni di cittadini, le Ong ingiustamente perseguitate. Solo superando gli egoismi nazionali e la tentazione dello scaricabarile potremo tutelare chi cerca scampo e sconfiggere la prepotenza dei autocrati che minacciano il mondo.

Sociologo, Università di Milano e Cnel