Opinioni

Mercanti e monaci, la lezione del passato per la crisi di oggi. All’Europa serve spirito

Luigino Bruni lunedì 11 giugno 2012
All’Europa manca un grande progetto, perché le manca uno spirito. Quando dopo la seconda guerra mondiale nacque la prima comunità europea, le tragedie e l’enorme dolore che avevano preceduto e accompagnato le due Guerre mondiali, crearono le pre-condizioni ideali e spirituali per immaginare e poi provare a realizzare una comune terra di pace e di prosperità. Quel grande progetto europeo oggi si sta allontanando sempre più dal nostro orizzonte. E per capirne il perché dobbiamo compiere l’esercizio, oggi molto arduo, di liberarci dalle cronache quotidiane e dalla logica del breve termine, e tornare all’origine, per comprendere oggi la nostra natura, vocazione, e destino. L’Europa l’hanno fatta soprattutto mercanti e monaci, e l’hanno fatta assieme. I mercanti, le grandi fiere, gli scambi, i trattati commerciali non avrebbero creato durante il Medioevo nessuna idea di Europa senza l’azione congiunta, complementare e co-essenziale del monachesimo, e poi di Francesco e Domenico. Il cristianesimo e i suoi carismi (che hanno anche ereditato rielaborandola parte della cultura classica ed ebraica) hanno offerto quel soffio vitale e quel respiro che ha generato e nutrito l’Europa, inclusa la sua economia di mercato, il suo sistema di welfare (che è stato inventato dai carismi religiosi, non dallo Stato), le sue banche. Nella modernità a questo spirito cristiano originario si sono aggiunte, anche come sua parziale gemmazione, altre tradizioni ideali, che hanno continuato a nutrire e sviluppare l’Europa e la sua civiltà. Quando nel dopoguerra siamo arrivati al nuovo progetto europeo, le sue radici erano molto profonde: quella cattolica, quella socialista e quella liberale, tradizioni che ritroviamo, in proporzioni diverse, anche nella visione economico-sociale che sostiene la nostra Costituzione repubblicana, nata insieme al progetto europeo, e che insieme ad esso deve essere ancora letta. Questo spirito uno e triplice dell’economia europea è stato capace di alimentarla e di vivificarla, di farle raggiungere risultati straordinari. L’Europa oggi è in crisi non solo per la mancanza di una comune politica fiscale e per i debiti pubblici, ma soprattutto perché sono venute meno queste tradizioni ideali che hanno alimentato nei secoli il suo spirito. Tradizioni che nel sottosuolo sono ancora vive, sebbene le vitalità siano di grado diverso, ma le falde hanno perso contatto con i canali e gli acquedotti, e non dissetano più la terra né i suoi abitanti. Il suo spirito originale è sempre più fioco, né si vedono altri "spiriti" all’orizzonte capaci di svolgere la stessa funzione vitale e vivificante. La gestione della crisi greca è un chiaro segno che lo spirito europeo è troppo debole. Ma, come ci ha insegnato cento anni fa Max Weber e oggi ci dicono Luc Boltanski e Mauro Magatti, anche l’economia di mercato moderna e post-moderna ha un bisogno essenziale di uno spirito per poter vivere e crescere. Lo spirito, come ci ricorda la cultura biblica, è il soffio vitale, è ciò che fa vivere e dice che si è ancora vivi. Ecco allora che quando una cultura perde il suo spirito, si interrompe il suo sviluppo civile ed economico. La carestia di spirito è oggi la prima forma di miseria che sta bloccando l’Europa, spegnando nei suoi cittadini il sogno e l’idea stessa d’Europa. Oggi all’Europa mancano soprattutto "nuovi monaci" e "nuovi monasteri"; manca l’orare per ricreare anche le precondizioni del laborare. E mancando monaci e spirito, il vuoto da loro lasciato nell’anima delle persone e dei popoli (che oggi non meno di ieri sono prima di tutto animali spirituali), lo riempiono i maghi, gli oroscopi, il gioco e le scommesse; cioè il nulla, che non è il nada di Giovanni della Croce, ma il nulla mortifero e del niente. Eppure sono convinto che questi nuovi monaci e monasteri ci siano, ne conosco tanti, ma non siamo più capaci collettivamente e politicamente di vederli e di ascoltarli, cercandoli nei luoghi tradizionali (molti monasteri e conventi continuano oggi come ieri a vivificare il mondo e la vita civile) e nei tanti luoghi nuovi che, dal basso, generano e rigenerano ogni giorno anche la vita civile ed economica. Non saremmo mai usciti dalla crisi epocale che seguì il crollo dell’impero romano senza il monachesimo, che trasformò quella grande ferita in benedizione. Oggi l’Europa non uscirà migliore da questa sua crisi epocale senza una nuova stagione spirituale, se non sarà capace di trovare, e di ritrovare, il suo spirito, che come ieri l’ha fondata oggi può rifondarla: «Questa volta, però, i barbari non aspettano al di là delle frontiere: ci stanno governando già da molto tempo. Stiamo aspettando: non Godot, ma un altro San Benedetto» (A. McIntyre).