Opinioni

Lukashenko non molla la presa sulla Bielorussia. Il «piccolo padre» guarda ancora a Mosca

Luigi Geninazzi martedì 21 dicembre 2010
Nel Paese dove il tempo si è fermato, le elezioni finiscono sempre allo stesso modo: con la riconferma al potere dell’uomo che ha bloccato l’orologio della storia e con l’opposizione in galera. Cose da Terzo Mondo che succedono non molto lontano da casa nostra, al confine con la Ue, nella piccola Bielorussia dove Lukashenko, l’ultimo dittatore d’Europa sopravvissuto alla caduta del comunismo, si è fatto rieleggere alla presidenza per la quarta volta. Come da copione. L’unica incognita non era il responso delle urne, del tutto scontato, ma la reazione del regime alla protesta di piazza già preannunciata alla vigilia del voto.C’era chi sperava che Lukashenko, dopo aver governato per sedici anni con pugno di ferro, avrebbe usato guanti di velluto nei confronti di poche migliaia di dimostranti. Invece anche questa volta a Minsk, nella piazza d’Ottobre dominata dalla perenne statua di Lenin, la neve si è macchiata del sangue dei manifestanti, picchiati brutalmente dalla polizia e arrestati insieme con i leader dell’opposizione e i candidati alla presidenza, battuti in senso letterale. «Non è questo il nuovo inizio di cui la Bielorussia aveva bisogno», ha dichiarato il capo degli osservatori dell’Osce tradendo tutta la sua delusione per la mancata svolta. Sì, c’era più d’uno che ci sperava. Negli ultimi tempi, infatti, Lukashenko era entrato in conflitto con il Cremlino, suo tradizionale alleato e protettore, mostrandosi sensibile ai richiami dell’Unione Europea. I motivi vanno ricercati nella crisi economica sempre più grave che il "piccolo padre" (così, come già Stalin, si fa chiamare il dittatore bielorusso) ha affrontato finora con metodi vetero-sovietici, garantendo stipendi e pensioni ma non lo sviluppo del Paese. Con un’inflazione che quest’anno ha toccato il 10% e un debito pubblico passato da 5 a 25 miliardi in quattro anni, la Bielorussia sopravvive grazie agli aiuti dall’estero. E da quando Mosca ha deciso di aumentare il prezzo del gas e di razionarne il flusso, costringendo Minsk a ridurre le sue esportazioni, Lukashenko si è messo a cercare alternative in ogni direzione, dal lontano Venezuela alla vicina Europa. Ha ricevuto 3 miliardi e mezzo di dollari dal Fondo monetario dopo aver promesso una politica di liberalizzazioni. E la Ue si è detta pronta a erogare un prestito di 3 miliardi di dollari a una Bielorussia che fosse disposta ad avviare un processo di democratizzazione.Far leva sugli affari non provoca automaticamente dei cambiamenti democratici. Lukashenko gioca su più tavoli ma non dimentica che il banco sta a Mosca. E con un guizzo da vero animale politico, proprio alla vigilia delle elezioni, ha siglato un accordo con il presidente Medvedev secondo cui il Cremlino s’impegna a togliere i dazi sul petrolio inviato in Bielorussia. A sua volta Minsk girerà a Mosca una parte delle entrate dovute all’export del greggio russo. Il tutto per un valore di 4 miliardi di dollari (più di quelli promessi dalla Ue).Medvedev e il premier Putin continuano a ritenere inaffidabile il dittatore coi baffetti alla Hitler e con la nostalgia di Stalin che governa sulla Russia Bianca. Del resto la tv russa ha definito Lukashenko «mentalmente disturbato». Impresentabile, ma al tempo stesso indispensabile. Così, con grande cinismo, i russi guardano allo zar in miniatura di Minsk. E la Ue deve tristemente prendere atto che la "democratizzazione" della Bielorussia è rinviata a tempi migliori. Il futuro dell’ultimo dittatore d’Europa è sempre nelle mani di Mosca, non di Bruxelles.