Opinioni

Arriva il «Codice della partecipazione». Inizino lavoratori e imprese (la legge, poi, li seguirà)

Michele Tiraboschi mercoledì 7 luglio 2010
Inizia a dare i primi frutti concreti l’avviso comune tra sindacati e imprese dello scorso 9 dicembre 2009 sulla partecipazione dei lavoratori. Con il varo di un corposo Codice della partecipazione si indica chiaramente la strada – a legislazione invariata e, dunque, già oggi pienamente praticabile – per superare quel clima conflittuale e di profonda diffidenza che, da sempre, condiziona il dibattito politico e il confronto sindacale italiano sui complessi temi del lavoro. Perché la chiave di volta della auspicata "riforma" del nostro sistema di relazioni industriali non sta in una legge, ma nella capacità degli attori sociali e del Governo di interpretate con animo aperto e occhi nuovi il mutamento economico e sociale in atto, individuando soluzioni utili per il perseguimento del bene comune e superare, così, egoismi e logiche di parte di breve respiro. Emblematica è, in questa prospettiva, l’assonanza tra uno dei pilastri della dottrina sociale e le premesse valoriali dell’avviso comune di dicembre. Con riferimento alle relazioni di lavoro, la dottrina sociale afferma infatti, senza esitazioni, che «la risorsa principale (…) il fattore decisivo» a disposizione dell’uomo è l’uomo stesso e «il suo integrale sviluppo attraverso il lavoro promuove piuttosto che impedisce una maggiore produttività ed efficienza del lavoro in sé». Analoghi termini sono utilizzati da sindacati e imprese nell’avviso comune, là dove concordano che l’economia della partecipazione è «la soluzione che concilia la solidarietà tipica del modello sociale europeo con l’efficienza richiesta dal mercato globale». La democrazia economia e la partecipazione presuppongono e determinano, al tempo stesso, un modello d’impresa socialmente responsabile e un modello di sindacato quale soggetto attivo dello sviluppo e della diffusione del benessere. Esistono pertanto obiettivi comuni che possono essere perseguiti unitariamente, in una logica di cooperazione tra capitale e lavoro. Primi tra tutti quelli della solidità competitiva del sistema produttivo e del rispetto e della valorizzazione della persona che lavora. In questa prospettiva, la partecipazione dei lavoratori ai risultati della impresa, a prescindere dai metodi e dai modelli utilizzati, può contribuire a stimolare la qualità e stabilità della occupazione e la crescita della produttività del lavoro.Ecco allora l’importanza del Codice della partecipazione, che ricostruisce quel quadro normativo di riferimento – a partire dai principi della Carta costituzionale e dalle norme della Comunità europea – entro cui già oggi è possibile avviare un percorso di rinnovamento dell’intero sistema di relazioni industriali, così come auspicato dall’Europa e già realizzato nella maggioranza dei Paesi europei, sicuramente quelli che hanno dimostrato maggiore forza competitiva e capacità di coesione sociale, a partire dalla vicina Germania. Come indicato nella premessa del ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, il Codice della partecipazione è peraltro un documenti aperto, suscettibile del contributo delle parti sociali a cui viene ora assegnato il compito di completare il disegno di rinnovamento, già chiaramente tracciato nella Carta costituzionale, attraverso accordi di partecipazione e la circolazione delle buoni prassi già oggi esistenti e puntualmente catalogate nel Codice.È certamente fuori discussione, come indica l’esperienza internazionale e comparata, che una legge di sostegno possa agevolare, anche attraverso la concessione di adeguati incentivi fiscali, la diffusione e il radicamento di modelli partecipativi. È altrettanto vero, tuttavia, che la collaborazione tra lavoratori e imprese non si impone per legge o paga in denaro, ma richiede, semmai, un rinnovato clima di fiducia: un sistema di relazioni industriali trasparente, aperto al dialogo e proteso alla ricerca del bene comune.