Opinioni

Chiarezza sì, paralisi anti-Tav no. Né violenze né miopie

Antonio Giorgi martedì 5 luglio 2011
Quanto è accaduto domenica in Valle Susa – la marcia pacifica anti–Tav e poi gli assalti terroristici dei black bloc e le decine di feriti tra le forze di polizia – impone di riconsiderare le modalità con le quali si vuole da una parte consentire l’operatività dei cantieri della ferrovia e dall’altra permettere l’espressione democratica del dissenso.Cominciamo da questo secondo punto. Nessuna opera pubblica ha mai incontrato in Italia una levata di scudi paragonabile al parapiglia determinato dal semplice annuncio della progettazione della nuova Torino–Modane. C’è di che riflettere. Che cosa ha di così impattante e devastante una ferrovia? Acclarato che al rischio amianto, quando esiste, si può ovviare e che tocca al mondo scientifico e tecnico provvedere; appurato che la Tav serve al Paese, all’Europa e alla stessa Val Susa, chi ha interesse ad agitare le ragioni di un no categorico? Si dirà: ma ci sono i cantieri, l’andirivieni dei camion, le strade ingolfate, i paesi assediati, gli espropri... La valle ha diritto di ottenere le giuste compensazioni, i cantieri non dureranno in eterno e ogni ferita inferta al territorio dovrà essere sanata: se non si capisce questo, non si andrà da nessuna parte. Prevalesse – qui e altrove – la sindrome Nimby (not in my back yard, non nel mio cortile) la modernizzazione del Paese resterà bloccata da costruzioni ideologiche e mitologiche artificiose, fuorvianti quando non deliranti: di volta in volta lo spauracchio dell’amianto, o del gassificatore, o dell’inceneritore. Un’Italia piccina, prigioniera di grettezze provinciali e di false illusioni da strapaese, perderà la sfida della modernizzazione. Per cui sconcerta vedere sindaci con tanto di fascia tricolore manifestare contro un’opera pubblica sulla quale concordano, con l’esecutivo, la grande maggioranza delle forze politiche. Il sindaco è ufficiale del governo. Libero di contestare un provvedimento, esprima contrarietà dopo aver deposto la fascia e rinunciato al mandato. È questione di correttezza, a scanso di equivoci pericolosi.E poi: benissimo la netta presa di distanza dei manifestanti non violenti nei confronti dei black bloc, gli sfasciatutto, i fautori del tanto peggio tanto meglio, quel «gruppo di delinquenti» segnati a dito dal ministro Matteoli, condannati con estrema fermezza dal capo dello Stato e dagli esponenti di tutti i partiti, anche di estrema sinistra. Ma quando a un corteo si sollecita una partecipazione numerosa nella logica del “più siamo meglio sarà”, è facile che si aggreghino o si affianchino teste calde, squinternati strumentalizzabili, professionisti della provocazione e dell’assalto armato e, purtroppo, anche terroristi in sonno o in servizio.Della guerriglia di domenica hanno destato sgomento la facilità con la quale i violenti si sono impossessati del territorio, l’organizzazione dispiegata, la dotazione offensiva (fionde e randelli) e difensiva (maschere antigas). Si è detto e visto di black bloc giunti da fuori Italia. C’è stata da parte dell’intelligence una sottovalutazione del rischio? La prevenzione ha mostrato falle? Se così fosse – e veniamo al capitolo delicato della prosecuzione dei lavori – oltre a ipotizzare, come sembra fare Maroni, il reato di tentato omicidio per chi ha attaccato la polizia, qualcosa dovrà essere rivisto in sede di individuazione capillare dei focolai e delle centrali della violenza organizzata. Altrimenti i cantieri saranno perennemente nel mirino e la militarizzazione del territorio si farà più marcata, prospettiva che alla Val Susa toglie il sonno.Ma tocca a quella parte di Val Susa riflessiva (probabilmente già oggi maggioritaria) capace di ragionevolezza e di guardare più in là del proprio orticello, imporsi con la forza delle idee, del chiarimento, della proposta e del dialogo su quei settori di società (locale e d’importazione) che alla Tav dicono no, con motivazioni più o meno nobili o per puro preconcetto. La normalità tornerà quando si radicherà e diverrà prevalente nella cultura condivisa l’opinione che si tratta di un’opera utile a tutti, alla valle e ai suoi abitanti in primo luogo. La “paura del nuovo” determina spesso reazioni esagerate, inconsulte, e può essere comprensibile. Anche i luddisti distruggevano i telai meccanici, che erano il nuovo. Poi dovettero ammettere che il loro lavoro era facilitato. In un mondo che si muove, si collega sempre di più e va veloce ogni tanto si può e si deve rallentare, ma non si può fermare un Paese.