Opinioni

Un «salto di qualità» con l'attentato di aeroporto. La miscela esplosiva del Caucaso Fondamentalismo e rivolta anti-Mosca

Luigi Geninazzi martedì 25 gennaio 2011
Sempre più feroce e sanguinario, il terrorismo è tornato a colpire Mosca con una strage di grande impatto mediatico, non solo all’interno della Russia ma in tutto il mondo. È la prima volta che un kamikaze si fa esplodere all’interno di un aeroporto della capitale. Non uno qualsiasi ma il più grande e moderno, dal nome complicato di Domodedovo ma ormai ben noto alle compagnie aeree occidentali che da anni lo preferiscono allo storico ma vetusto Sheremetevo. L’attacco è avvenuto nell’area degli arrivi internazionali e nell’ora di massimo affollamento, nel tardo pomeriggio, quando sbarcano i passeggeri provenienti dalle metropoli europee. Si può dire che i terroristi hanno deciso d’inviare il loro agghiacciante messaggio di morte anche agli stranieri che fanno affari con la Russia. Dieci mesi fa, nel marzo 2010, avevano compiuto un massacro nel metrò di Mosca. Adesso, con quest’ennesimo attentato, mostrano d’aver alzato il tiro in un’escalation dell’orrore che sembra inarrestabile. Un incubo che avvolge la Federazione Russa da dodici anni, iniziato nel 1999 con i condomini della periferia moscovita sventrati dalle bombe, proseguito con la strage nel teatro Dubrovka del 2002, il massacro nella scuola di Beslan del 2004 e poi con i meno clamorosi ma pur sempre sanguinosi attentati a treni, mercati e centri commerciali in varie zone del Paese. I russi non hanno mai avuto dubbi sulla matrice cecena del terrorismo in casa propria. Ma da quando la Cecenia è stata "pacificata" dal proconsole di Mosca, il giovane e violento Kadyrov, le cose paradossalmente si sono fatte più complicate. Se fino a qualche anno fa la Russia di Putin aveva problemi con la piccola Repubblica secessionista della Cecenia, adesso il contagio indipendentista si è allargato a tutto il Caucaso dove povertà, corruzione, instabilità politica e tensioni etniche alimentano l’estremismo islamico di Daghestan, Inguscezia e Ossezia del Nord. La guerra dell’estate 2008 con la Georgia e il riconoscimento dello strappo indipendentista dell’Ossezia del Sud hanno riacceso il fuoco del separatismo in tutta la regione anziché spegnerlo. A questo punto torna in discussione l’intera strategia di Putin, che dopo aver usato l’esercito si è affidato ai capi-clan locali per tenere a bada l’anima ribelle del Caucaso. E tutto questo avviene mentre la turbolenta regione, già ben descritta nell’Ottocento da Tolstoj, acquista sempre più importanza come crocevia internazionale delle rotte petrolifere. Il terrorismo ferisce la Russia nelle sue ambizioni geo-politiche mostrandone l’estrema vulnerabilità. Nel momento in cui Mosca proclama l’uscita dal tunnel della crisi economica e si unisce alla Cina per salvare le fragili economie dell’Occidente, acquistando i bond del fondo di salvataggio europeo, ecco che viene colpita in uno dei suoi gangli vitali da un attentato micidiale. Il premier Putin farà fatica a spiegare ai suoi connazionali, ma anche al presidente Medvedev, quel che non ha funzionato nei sistemi di sicurezza. La Russia si prepara ad affrontare un decisivo anno elettorale, con il rinnovo della Duma a fine 2011 e la scadenza presidenziale al Cremlino nella primavera del 2012. Per ora sembra che alla massima carica dello Stato intendano candidarsi sia Putin, che ha sempre inteso la sua permanenza attuale alla guida del governo come un intermezzo, sia Medvedev, che sta prendendo gusto a fare il presidente "liberal" in contrasto con il suo ex patron. Una partita difficile e ad alto rischio per la stabilità del Paese. E quando il gioco si fa duro, il terrorismo scende in campo alzando il tiro.