Opinioni

La crisi fa esplodere i problemi, ma è anche opportunità. Si riparte il dossier della «questione sociale»

Carla Collicelli sabato 13 agosto 2011
Oltre agli esiti di una crisi economica e finanziaria epocale, è chiaro che sono in gioco in questi giorni, tra manovre governative e concertazione tra le parti sociali, i termini stessi della "questione sociale" in Italia. Quella questione che è stata al centro delle attenzioni per alcuni decenni dopo la nascita della Repubblica, e che è poi stata improvvidamente messa da parte, con evidenti esiti negativi per lo sviluppo e per il benessere della nazione. Eppure sappiamo che è su questi fondamentali che si basa la forza, anche economica, di un Paese, e la sua capacità di fronteggiare le tempeste finanziarie e geopolitiche. Ovviamente qui non si intende sottovalutare i problemi del mercato finanziario o quelli dei modi della gestione politica, ma è evidente che il cuore del problema sta oggi nei contenuti della ulteriore manovra che occorre realizzare in tempi rapidi e in maniera sostanziosa nelle prossime settimane, come richiesto dalla situazione economica, ma anche dalla Bce e che, stando alle anticipazioni, propone tra i grandi ambiti di intervento proprio quello del welfare e delle pensioni. L’intervento è più che comprensibile vista, la quantità di risorse che muovono l’uno e le altre assorbono. E potrebbe anche essere un bene per la coesione sociale, visto che il nostro welfare si basa in larga parte sulle prestazioni pensionistiche e su prestazioni assistenziali di tipo monetario, erogate nell’ambito del sistema pensionistico (Inps), con evidenti iniquità e lacune: più attenzione per chi ha un lavoro e per le loro famiglie che per chi è fuori dal mercato del lavoro (come nel caso degli assegni familiari riservati alle famiglie dei lavoratori); privilegiare gli anziani rispetto ai giovani (nonostante la riforma del 1995, il sistema pensionistico-fiscale continua ad essere molto generoso con le classi di età più elevate e i pensionati e decisamente debole nei confronti dei giovani, ivi comprese le giovani famiglie con bambini); privilegiare le cosiddette categorie di meritevoli (per professione, patologia, ecc.) a scapito degli emarginati e poveri tout court; privilegiare gli interventi di tipo riparativo elargiti su richiesta degli interessati, a sfavore della prevenzione e del sostegno sociale a monte dei problemi.Come è dimostrato nei fatti, dagli esborsi delle famiglie per le ampie aree di scopertura in ambito assistenziale e sanitario (la non autosufficienza o le liste di attesa in sanità) e anche dalle preoccupazioni per il futuro pensionistico dei giovani, emerse ad esempio nell’ambito dello studio Censis «Welfare, Italia, laboratorio per le nuove politiche sociali» di poche settimane fa.In questo senso, si gioca qui la partita della "questione sociale" in Italia. Perché da una profonda riforma e razionalizzazione se ne potrà uscire con le ossa rotte, cioè con un aggravamento degli squilibri, ma se ne potrà anche uscire con un miglioramento decisivo della coesione sociale del Paese, a patto che si rispettino due condizioni. La prima, che si tratti davvero di togliere laddove vi è una situazione di grande disponibilità e/o di privilegio, e riequilibrare verso chi ha troppo poco rispetto ai bisogni, e non di procedere con tagli indiscriminati, come pure in qualche caso si sente paventare (ad esempio i tagli lineari alle deduzioni fiscali). La seconda condizione è che un simile processo avvenga con la collaborazione di tutte le parti sociali chiamate a collaborare, senza esclusione. Ognuno deve dare quanto può dare per la collettività e pretendere quanto è necessario per il benessere collettivo e lo sviluppo. In totale onestà intellettuale e senza egoismi di categoria.