Opinioni

Il volto del piccolo "Cento", la faccia della guerra. È davvero tempo di aprire gli occhi

Giulio Albanese venerdì 25 febbraio 2011
Il Carnevale in Somalia non esiste, eppure da quelle parti di bambini come "Cento", in perfetta tenuta mimetica, quasi fossero in una tragica maschera, se ne incontrano molti. Non solo nelle forze ribelli degli estremisti islamici, i famigerati al Shabaab, ma persino – cosa, se possibile, ancor più grave – nelle file dell’esercito governativo, fedele al presidente Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, come denuncia oggi Avvenire.A guardarlo in faccia, "Cento" fa davvero tanta tenerezza, perché non solo ha le sembianze di un "bambolotto", ma soprattutto perché il suo sguardo disincantato è la metafora di una gioventù bruciata per colpa degli adulti. La guerra nessuno dovrebbe farla, tanto meno dei ragazzini come lui, cui qualcuno ha tolto premeditatamente l’innocenza degli anni migliori, del gioco e dello studio. A pensarci bene, questi "bambini-soldato" sono le prime vittime delle cosiddette guerre dimenticate, quelle che non fanno notizia perché nessuno ha interesse a darne notizia.Eppure, questi "soldatini di piombo" sono costretti a imbracciare il fucile perché vengono arruolati a costo zero, a differenza dei grandi che esigono il salario. E poi, proprio perché innocenti, sono facilmente manipolabili, con il risultato che le malefiche suggestioni impresse dai loro capi a volte li trasformano in veri automi, macchine belliche in miniatura, ma pur sempre spietate.Far scoprire e veder raccontate storie come quella di "Cento" non conviene ai signori della guerra, che utilizzano le giovanissime reclute come fossero carne da macello. Il loro arruolamento è il modo più feroce e conveniente per prolungare nel tempo un conflitto, quale quello somalo, esploso nel lontano gennaio del 1991 e che è costato la vita a un numero incalcolabile di uomini e di donne. A Mogadiscio e dintorni intere generazioni sono state svezzate sotto le bombe senza che i Grandi della Terra se ne curassero.Gli interessi in gioco sono davvero tanti, dal controllo del governo a quello militare del territorio, per non parlare dell’oro nero su cui galleggia il Corno d’Africa. E se, da una parte, vi sono i fautori del jihad, la guerra santa, in nome di un islam militante, disincarnato rispetto alla storia, anni luce distante dallo spirito di ogni sensata religione, dall’altra vi sono i commilitoni di "Cento", che dovrebbero ostacolare l’avanzata dei fondamentalisti con l’appoggio anche delle nazioni occidentali. Ed è forse proprio questo l’aspetto più aberrante, che andrebbe stigmatizzato per dare voce ai senza voce.È mai possibile servirsi di questi ragazzi, all’inizio del Terzo Millennio per difendere libertà e democrazia? È chiaro che si tratta di una follia, una mistificazione di un presunto "bene" che, alla prova dei fatti, non serve proprio a nessuno. Parafrasando il grande poeta messicano Salvador Díaz Mirón, viene spontaneo levare la propria indignazione, quella delle libere coscienze: «Sappiatelo, sovrani e vassalli, eminenze e mendicanti: nessuno avrà diritto al superfluo finché uno solo mancherà del necessario». E per il piccolo "Cento" il necessario è innanzitutto e soprattutto il diritto a una vita degna cui ogni essere umano istintivamente anela, non costretto alla violenza contro i suoi fratelli somali. Per noi tutti è davvero tempo di aprire gli occhi.