Opinioni

Ecco quelli di Rubattino. Cominciò con le ruspe anti-rom, continua con scuola e lavoro

Paolo Lambruschi domenica 24 novembre 2019

Le storie belle vanno raccontate, le buone notizie non vanno taciute. Non è banale. Altrimenti l’odio sale sui tetti e grida, si prende le praterie della narrazione lasciate sguarnite e invade i social e molti media tradizionali con i messaggi degli haters, gli odiatori, e con la propaganda persino disumana. È purtroppo breve il passo dai discorsi odiosi agli atti di antisemitismo, di razzismo, di discriminazione e persecuzione verso i diversi e i deboli.

A Milano, pochi giorni fa, il 19 novembre, un video ha fatto capire che questo Paese, la sua società civile e le sue istituzioni sono capaci di compiere autentici miracoli di inclusione e integrazione che sconvolgono gli stereotipi. In questo caso, il 'miracolo' è stato dare lavoro, casa e istruzione, ovvero dignità umana, a 70 famiglie di rom romeni, cittadini europei come noi. Le stesse persone, per giunta, che dieci anni fa sempre a Milano erano state sgomberate per l’ennesima volta da una ex centrale Enel in via Rubattino, periferia est. Avevano perso tutto: poche stoviglie, i libri e i quaderni dei bambini e i giocattoli. Era stato uno sgombero durissimo. All’alba, con tanto di agenti in assetto anti-sommossa e ruspe che spianavano tutto quel che trovavano e i bimbi spaventati. Sembrava che Milano volesse tracciare un solco definitivo, oltre il quale respingere quelle persone, circa 200, più di 50 bambini almeno 40 dei quali inseriti nelle scuole del quartiere.

Invece qualcosa scattò nella coscienza dei milanesi, anche grazie a una narrazione diversa fatta sui giornali e le tv dell’epoca (i 'social di guerra' non erano ancora in auge) principalmente dai volontari della comunità di Sant’Egidio e dalle maestre di via Rubattino, dai sindacati e dagli operatori del Terzo settore. Fu chiaro che la giunta – legalità o no – aveva esagerato, che la 'cacciata dei rom' era disumana e non avrebbe influito sulla questione sicurezza. Valeva la pena provare a ribaltare una situazione disperata. Un prezioso video curato dalla Comunità di Sant’Egidio racconta cosa è successo in 10 anni e come vivono oggi le famiglie sgomberate e che ricominciarono grazie alla rete del privato sociale e delle istituzioni da un ponte sotto l’autostrada. Ce l’hanno fatta. I bambini che persero tutto sotto le ruspe, oggi maggiorenni, hanno finito le scuole e lavorano o di lavoro sono in cerca. Molti genitori lavorano, a molti nuclei è stata assegnata una casa popolare.

Non tutti i i problemi sono stati risolti, Ma se avesse vinto l’odio, Milano oggi avrebbe perso 70 famiglie, 350 persone, cittadini europei – ripetiamolo – come noi. Se avesse vinto la logica della ruspa sarebbero stati esclusi, vivrebbero ai margini, magari ai confini del sottobosco criminale che pesca nella grande emarginazione e che è la fonte del nostro antiziganismo quasi ancestrale. Invece la piccola grande storia della gente di Rubattino ha preso un’altra direzione grazie ai volontari di Sant’Egidio e di altre realtà, alla scuole, alle parrocchie.

Grazie a una rete. Non è un miracolo a Milano, il modello di rete è esportabile ovunque ci siano insegnanti che vogliono garantire il diritto allo studio a tutti i bambini e associazioni di volontariato attente alle fasce marginali. Resta un grosso neo: i protagonisti del video hanno paura a farsi riprendere in volto, a dare nome e cognome perché i vicini, i genitori dei compagni di scuola o i datori di lavoro potrebbero riconoscerli. Racconta spesso don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità, uno dei grandi lasciti del cardinal Martini a Milano, di aver conosciuto una signora milanese che parlava molto bene dei suoi vicini di casa.

Gente per bene, onesta, stranieri ma gran lavoratori e i figli così educati. Non sapeva che fossero rom e quando andava in vacanza lasciava loro le chiavi di casa per bagnare le piante raccomandandogli di stare attenti perché in giro ci sono gli 'zingari'. Il punto è comunicare correttamente per non favorire la guerra tra poveri. Non bisogna stancarsi di raccontare sui social e attraverso tutti i media le molte storie positive attorno a noi finché cambierà la narrazione cattiva e cattivista, finché un rom che si laurea o lavora non farà più notizia. Non ci sono alternative. Non è buonismo, è bene comune. Vedere per credere.