Opinioni

La mossa della Bce. Bce e Quantitative easing, e ora la politica batta un colpo

Gianni Bottalico* mercoledì 11 marzo 2015
Caro direttore, non si può esser certi che il quantitative easing, il massiccio acquisto di titoli avviato dalla Bce e dalle banche centrali nazionali, sortisca gli effetti sperati.  Provocherà sicuramente un ulteriore abbassamento dei tassi d’interesse, con dei risparmi da parte dello Stato, stimati in alcuni miliardi. E renderà il cambio dell’euro più favorevole per le esportazioni. Ma sembrano mancare i presupposti per la svolta tanto attesa in direzione della ripresa.  A Mario Draghi bisogna riconoscere il merito di una iniziativa da tempo attesa, che appare rivolta soprattutto a puntellare il sistema creditizio europeo, ma non è ancora chiaramente orientata alla cosiddetta economia reale, alle famiglie, alle imprese, al settore pubblico. D’altra parte così è logico che sia, perché non si può chiedere ai tecnici di riformare il sistema di gestione delle politiche economiche e monetarie. Questo spetta alla politica. E richiederebbe di intervenire su un paio di presupposti capaci di dare un respiro diverso alle scelte tecniche della Bce.  In primo luogo, si tratta di riconoscere che il sistema finanziario che, dopo otto anni di crisi conclamata, continua a fondarsi sulla speculazione finanziaria, non può reggere senza misure efficaci di riforma che ne riducano una esposizione che è prossima alla follia. Non ci sono altri termini, infatti, per definire l’effetto leva praticato sugli attivi effettivamente nella disponibilità delle banche, che è di una dozzina di volte superiore al pil mondiale. Ogni nuova iniezione di liquidità finisce per essere assorbita in questa sorta di buco nero. Quello dei derivati è un castello di carte che l’autorità politica deve smontare se si vuole uscire dalla crisi.  L’altro presupposto è che almeno una minima parte della nuova moneta, creata in quantità così copiosa dalla mossa della Bce, venga trasferita, a partire dai prossimi mesi, direttamente all’economia reale, sotto forma di risorse per gli Stati che consentano loro nuovi investimenti per lo sviluppo e dei ragionevoli margini per alleviare la forte pressione fiscale, a partire dal lavoro e dai redditi più bassi, e – perché no? – individuare delle modalità per dare direttamente alle famiglie – si potrebbe suggerire a partire da quel 7,9% di nuclei familiari in povertà assoluta – delle risorse aggiuntive da utilizzare per far ripartire la domanda interna, come prospettato addirittura in un articolo apparso l’anno scorso sul numero di settembre/ottobre di Foreign Affairs,  che ha rotto un tabù, quello per cui la moneta creata dalle banche centrali non possa essere indirizzata direttamente ai soggetti che costituiscono l’economia reale.  “Stampare meno, ma trasferire di più” (era il titolo di quell’articolo) dovrebbe essere anche l’obiettivo che la politica indica alle banche centrali per fare in modo che questa colossale creazione di liquidità anziché risultare un semplice palliativo, costituisca un tassello di quel nuovo sistema economico e finanziario che è interesse di tutti edificare come risposta alle difficoltà prodotte dalla crisi attuale. *Presidente nazionale delle Acli