Opinioni

Coronavirus. E adesso cambiamo aria alle città, ma davvero

Franco La Cecla e Giuseppe Onufrio mercoledì 22 aprile 2020

Adesso che si avvicina la fine della clausura non sappiamo se essere sollevati o invece preoccupati. Cosa ci aspetta là fuori? E soprattutto cosa ci garantisce che le condizioni che ci hanno portato a questa situazione non si perpetuino? Sembra dalle parole degli esperti che tutto dipenda da come noi ci comporteremo, ci atterremo alle regole, come se l’ affaire coronavirus fosse solo una questione di ordine pubblico. Per chi ha sopportato sei, sette, otto, nove settimane di isolamento la liberazione sta non nell’allentamento delle proibizioni e nell’allargamento del territorio della propria vita, ma nella trasformazione del territorio in qualcosa che gli dia garanzie: sia a breve termine – cosa renderà più difficile il contagio in un quadro sociale dove i positivi non sono censiti del tutto – e cosa renderà le condizioni ambientali vivibili. Che l’area del Nord del Paese sia 'compromessa' ambientalmente è di una evidenza incontestabile.

L’inquinamento in Lombardia e Piemonte e più in generale in pianura padana è tra i peggiori d’Europa. Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, infatti, l’Italia ha il record di morti da smog, oltre 76mila nel 2016. Questa 'mortalità in eccesso' è l’aspetto più grave di uno stato di esposizione cronica all’inquinamento cui sono legate patologie all’apparato respiratorio e cardiovascolare. L’ipotesi che la severità della pandemia sia (anche) legata all’esposizione cronica a elevati livelli di smog come da varie parti si sostiene (anche una recente ricerca dell’Università di Harvard e lo studio presentato l’11 aprile da Leonardo Becchetti su queste pagine: tinyurl.com/svisos ), è dunque del tutto plausibile. Già nel caso della Sars in Cina era stata evidenziata una maggiore mortalità proprio nelle zone più inquinate. In attesa che l’analisi scientifica ci dica se e quanto lo smog ha peggiorato le cose in Italia, i cittadini ci sembra abbiamo il diritto coma mai prima di chiedere ai loro sindaci un effettivo piano 'green' che abbassi il livello di inquinamento.

Cosa accadrà invece adesso che i trasporti pubblici sarebbero (e chissà per quanto tempo) da evitare? Lo sappiamo: un incremento del traffico privato, intasamento da gas di scarico in città che non sono riuscite ancora fare una politica efficace per l’auto elettrica e la ciclabilità e che continuano a tollerare il diesel e la benzina. Uno dei problemi dell’Italia è che il virus ha messo in luce non il disastro della modernità e il bisogno di una decrescita più o meno infelice, ma quanto siano vecchie le nostre infrastrutture urbane, mobilità, riscaldamento, concezione dell’habitat e dei servizi. Uno delle cose che stiamo imparando è che la Cina è un Paese molto più moderno dell’Europa e dell’America e che è sull’innovazione che si basa il nostro futuro ambientale. Shenzhen già da anni è libera dai gas di scarico perché in città circolano quasi solo auto elettriche. Uno dei motivi per cui i cinesi continuano ad avere una fiducia, per quanto contenuta, nei loro leader è che la Cina è un Paese che introduce innovazione con un’accelerazione proporzionale al suo comunicarla.

Sicuramente l’inurbamento forzato della Cina ha portato a un habitat che oggi è ritenuto nell’insieme superatissimo, ma è anche vero che visto che buona parte del patrimonio edilizio appartiene allo Stato è possibile un suo rinnovo radicale. Cosa che da noi ovviamente non è nemmeno pensabile (o desiderabile!). E però non possiamo continuare a vivere in città in cui l’abitare è malsano, entropico, di puro spreco di risorse non rinnovabili. In più i cittadini italiani di tutte le regioni hanno il diritto di chiedere ai loro amministratori che cosa davvero cambierà. A partire dalla sanità: è possibile continuare a sostenere il modello ospedale centralizzato ed elefantiaco che – in assenza di una medicina territoriale efficiente ed efficace – ha finito per essere un moltiplicatore di morte e di contagio? Ha senso pensare alle città come insieme di appartamenti e non come luoghi il più possibile aperti, difesi dall’inquinamento e dalle auto, strade, piazze, cortili?

Se Milano avesse i cortili che aveva negli anni 50 i bambini oggi non sarebbero rinchiusi. Bisogna ripensare la città di bambini e anziani e ovviamente quella di tutti, quella che rifiuta il modello residenziale della scatoletta e invece recupera la grande cultura di strada del Mediterraneo. Non è una concezione di clausura, ma una di vera sanità dell’aria che ci salverà. Il nostro futuro sta tutto nella ridefinizione da subito di questi parametri, il nostro mondo muore perché è vecchio e inadeguato alle sfide del futuro.

E, peraltro, le misure per una migliore qualità dell’ambiente urbano coincidono largamente a quelle necessarie per combattere i cambiamenti climatici che, come sappiamo, tra le conseguenze negative hanno quella di aiutare l’espansione di ma-lattie trasmissibili, come è stato scritto e documentato più volte su queste pagine e come ricordava qualche giorno fa anche l’'Osservatore Romano'. Qui c’è bisogno di un Green Deal – un nuovo corso verde – che sia reale, ambizioso e urgente, a partire da infrastrutture urbane sostenibili, perché l’idea di smart city sia davvero smart e per dare una vera speranza al futuro.

La Cecla è scrittore, architetto e antropologo

Onufrio è direttore di Greenpeace Italia