Opinioni

L'Italia tra crisi e solidarietà. Due modi per capirci

Salvatore Mazza venerdì 30 dicembre 2011
Due istantanee di fine 2011. La prima l’ha scattata l’Istat: ci sentiamo più poveri. Molto probabilmente lo siamo davvero. Basta farsi due conti, ed è facile capire che quando l’Istituto centrale di Statistica, numeri alla mano, ci fa sapere che le cose non girano, scopre un po’ l’ac­qua calda. Lo sapevamo già. L’ultima, preoccupante, sfornata di indicatori ci mostra un’Italia dove un cittadino su quattro 'vive a rischio povertà o di esclu­sione sociale'. Un Paese preoccupato per­ché la fine del mese si fa sempre più lon­tana, e per alcuni diventa un miraggio. Al Sud va peggio che al Nord: neppure que­sta è una notizia. E, tutto ciò, riferito al 2010. Per i dati 2011 bisognerà aspettare. A naso, non c’è bisogno di chissà quali do­ti divinatorie per sapere che è andata an­che peggio. L’abbiamo capito da un pezzo. L’abbia­mo visto nelle strade dello shopping, pie­ne di gente ma con negozi semivuoti. Nel­le telefonate che arrivano a casa dai com­mercianti che conosci, che ti fanno gli au­guri e intanto ti dicono 'lo sa che que­st’anno anticipiamo i saldi?'. Nella lan­cetta del serbatoio che s’è scordato che cosa sia un pieno. In quel pensiero non precisamente grato rivolto, di quando in quando, a chi le tasse non le paga, ru­bando i nostri bilanci e direttamente nel­le tasche. Grazie, davvero. È l’Italia dei di­scount e delle offerte speciali, che fa la spesa inseguendo i sottocosto, sperando di tirare un paio di giorni di più. Ci siamo tutti dentro. E ci chiediamo: è questo il fondo, o...? La seconda istantanea viene dalle par­rocchie, dalle Caritas, dalle diocesi di un’I­talia che non fa rumore, ma c’è. Sempre. Difficilmente la troverete nei salotti tele­visivi, o anche mai, né al centro di storie di copertina. Oggi ne offriamo uno spac­cato (alle pagine 10 e 11). Ma, appunto, è solo un pezzo, perché quella che nell’ul­timo anno si è verificata attorno ai nostri campanili è una vera e propria mobilita­zione generale. Che non ha avuto biso­gno di aspettare i dati dell’Istat per capi­re, per intercettare un disagio che di gior­no in giorno si andava facendo più largo, più pesante, e per intervenire. Non stiamo parlando solo del fon­do straordinario per le famiglie at­tivato dalla Conferenza episcopa­le italiana dal 2009. Parliamo an­che di quella fitta, instancabile re­te solidale fatta di cose che posso­no talvolta sembrare piccole ma che sono essenziali. Dei gemel­laggi tra famiglie nel Triveneto per darsi una mano a pagare le bol­­lette, degli elettrodomestici ricu­perati nelle discariche e riparati a Pisa, degli aiuti alle micro e picco­le imprese in Calabria, delle 'strut­ture di solidarietà' di Cagliari, e ancora e ancora. E non è tutto. Sappiamo anche questo, in fondo. Perché tutti noi abbiamo visto, probabilmente, quanto nell’ultimo anno si siano allungate le file davanti agli uffici parrocchiali, e intravi­sto là in mezzo magari anche qualcuno che non ci saremmo mai aspettati. È la rete di una solidarietà vera, che come Martino taglia il mantello finché ce n’è, e ogni volta riesce a trovarne uno nuovo da dividere. Che riesce a inventare le cose più strane, o inedite, o incredibili, per ma­nifestarsi. Quella solidarietà che c’è sem­pre stata e che non vedevamo, e che con­sente a tanti di andare avanti, senza chie­dere carte d’identità o di appartenenza. Quella che lasciavamo alle buone signo­re della San Vincenzo, e che oggi sempre più spesso ci coinvolge, perché bussa di­rettamente alla nostra porta. Che condi­videndo le difficoltà quotidiane dell’oggi dà forza e senso alla speranza che doma­ni possa andare meglio. Non sappiamo quando vedremo la luce in fondo al tun­nel della crisi che viviamo. Ci vorrà tem­po, dicono. Qualcuno aggiunge: molto. Siamo in recessione. Dentro il tunnel. E tocca a tutti noi. Perché finché in mezzo al buio sapremo tenere accesa la fiam­mella della solidarietà, sappiamo anche di non essere soli.