Opinioni

Donne e missione della Chiesa. La seria domanda

Stefania Falasca giovedì 12 maggio 2016
La fattiva collaborazione tra donne e uomini nella Chiesa nella reciprocità e nel servizio è la direzione indicata da papa Francesco nei suoi reiterati interventi riguardo alla questione femminile e al ruolo delle donne nella Chiesa.Il Papa fin dall’inizio del suo pontificato si è fatto lealmente interprete delle istanze più profonde e vitali dell’universo femminile e sta interpellando le donne per quello che riguarda il loro destino presente e futuro nella Chiesa. E nella prospettiva aperta da Francesco se «la Chiesa non può essere se stessa senza la donna e il suo ruolo», se «la donna per la Chiesa è imprescindibile» non si tratta solo di onorare e di elargire ancora onorificenze alle donne ma è «necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva». Ma una «presenza femminile più incisiva» presuppone che anche nella Chiesa certo maschilismo sotterraneo sia definitivamente «sanato dal Vangelo» - come ha rilevato opportunamente nella sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium - e allo stesso tempo, sempre nell’ottica del Vangelo, sia sanato certo clericalismo e carrierismo diffuso che risponde a logiche di potere inteso come dominio. Francesco ha così più volte sottolineato come un’emancipazione femminile non può passare per la clericalizzazione. «Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non "clericalizzate"» – aveva detto già nel 2013 – chi pensa alle donne cardinale soffre un po’ di clericalismo", devono invece essere rappresentate per svolgere, accanto agli uomini, con autorevolezza e pari dignità, incarichi di piena responsabilità in uno spirito di autentico servizio. Quel servizio fondamentale, non servilismo, che è alieno dall’ideologia e dalla brama di protagonismo e di potere, a cui tutti, uomini e donne, sono chiamati per far progredire la Chiesa nello spirito di Cristo. Della tentazione del femminismo e quella più forte del clericalismo ha nuovamente parlato anche ieri durante l’udienza all’Unione internazionale Superiore generali, ricevute in Vaticano. Ha ripreso tra l’altro il ruolo delle donne consacrate e laiche, ancora debole sia all’interno dei processi decisionali nella Chiesa sia nella predicazione. E rispondendo alle domande delle religiose ha toccato anche il diaconato permanente  femminile e in proposito ha risposto che sarà utile costituire una commissione di studio che se ne occupi.Il tema del diaconato femminile nella Chiesa primitiva non è nuovo. Secondo una tradizione antichissima, il diacono veniva ordinato «non al sacerdozio, ma al ministero». Il punto da approfondire è che tipo di figure ministeriali fossero. Le diaconesse non erano il corrispondente femminile dei diaconi, avevano un ministero del tutto specifico, una sorta di ministero sui generis. La Commissione teologica internazionale si è occupata approfonditamente della questione negli anni 2002-2003 e ne «Il diaconato: evoluzione e prospettive» ha confermato questi risultati.Francesco vuole verificare se e come attualizzare quella forma di servizio, ritenendo che diaconesse permanenti possano rappresentare «una possibilità per oggi». Punto che però non riapre certo alla questione del sacerdozio femminile. Giovanni Paolo II, nel 1994, nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis alla luce di una tradizione ininterrotta ha spiegato che la Chiesa, sul modello di Gesù Cristo, non ha in alcun modo il potere di impartire alle donne il sacramento dell’ordine e che tutti i credenti nella Chiesa devono pertanto rispettare questa decisione. Nel viaggio di ritorno dagli Stati Uniti, papa Francesco ha ribadito il no alla possibilità delle donne sacerdoti: «Non si può fare. Dopo lunghe riflessioni, Giovanni Paolo II lo ha detto chiaramente». Ora quindi la questione del diaconato femminile non può essere confusa con quella del presbiterato.Chiarito questo, se di fatto molte donne oggi esercitano dei servizi diaconali ci si può sempre domandare se la Chiesa possa fare adesso qualcosa di simile a ciò che avveniva nelle prime comunità cristiane del III-IV secolo, se si possa senza l’imposizione sacramentale delle mani ma con una benedizione incaricarle dei servizi pastorali. La domanda di papa Francesco espressa ieri nella conversazione con una suora è solo in questa prospettiva.E in questo senso non è certo una nuova creazione perché nulla avrebbe a che vedere con il sacramento sacerdotale. Né potrebbe essere considerata come il primo passo. Può quindi servire davvero, adesso, alla Chiesa di oggi, con le sue ricchezze e le sue debolezze, un ministero diaconale ecclesialmente riconosciuto e affidato alle donne, prendendo spunto e ispirazione da quello esercitato dalle diaconesse dei primi secoli? Fuori da questa attenzione sollecita alle esigenze reali dell’opera apostolica del tempo presente, anche le parole, sempre stimolanti ed evangeliche di Francesco, rischiano di essere "strattonate" da una parte e dall’altra in dibattiti sterili. Nella "provocazione" di papa Francesco sulle diaconesse non c’è quindi in gioco l’apertura – da imporre o da esorcizzare – al sacerdozio femminile nella Chiesa cattolica, e nemmeno la necessità di inventarsi nuove "carriere" da distribuire in via riservata all’altra metà del cielo per risarcimento di secoli di clericalismo declinato solo al maschile. La provocazione di papa Francesco ha come punto sorgivo la sollecitudine apostolica che vibra nelle pagine della Evangelii gaudium. Che cosa serve, che cosa può essere utile, oggi, alla missione affidata alla Chiesa nel tempo presente? Si può trovare vantaggio nella riattualizzazione di forme e istituzioni fiorite nella Chiesa dei primi secoli, per tanti aspetti così simili al tempo che stiamo vivendo? Il criterio del discernimento, sempre seguito da Papa Francesco, è lo stesso che fu caro al Concilio Vaticano II: tornare alle sorgenti, valutando tutto con la libertà dei figli di Dio, nella fedeltà al Vangelo.