Opinioni

Un ponte morale. Dissidenti in Russia e vittime, la nostra prima responsabilità

Gabriele Nissim venerdì 1 aprile 2022

Abbiamo costruito i Giardini dei giusti con due importanti intenti morali. Dare valore alla convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione dei genocidi che impegnava l’umanità ad assumersi l’impegno di reagire di fronte a ogni atrocità di massa. Valorizzare gli uomini giusti che, come scriveva Vasillij Grossman, salvano l’umano nell’uomo nelle situazioni estreme. Sono due temi di drammatica attualità di fronte alla guerra di Putin all’Ucraina che mira alla distruzione culturale e nazionale di un Paese.

Volodymir Zelensky ha usato un termine improprio, quando intervenendo davanti ai parlamentari israeliani collegati via internet (e non come in Italia e in Francia nella sede del Parlamento) ha richiamato alla soluzione finale di Hitler nei confronti degli ebrei che dovevano venire eliminati in ogni parte del mondo. Ma ha colto nel segno quando ha voluto mettere in luce che l’invasione dell’Ucraina mirava non tanto al controllo militare di un Paese, quanto alla sua messa in discussione in quanto nazione. Putin lo aveva scritto in un saggio del luglio scorso, quando aveva sostenuto (qui: tinyurl.com/ydwxnjta) che russi e ucraini rappresentavano un Paese solo e lo aveva ribadito alla vigilia dell’invasione, quando dal suo studio aveva dichiarato che l’Ucraina era stata una invenzione strumentale di Lenin finalizzata alla rivoluzione bolscevica.

Dichiarare la non esistenza di una identità culturale e nazionale significa porre le premesse per la sua distruzione e quindi immaginare che l’invasione del Paese sia la soluzione finale una volta per tutte alla questione ucraina.

Anche se l’inaspettata resistenza ucraina e la capacità politica di Zelensky di coinvolgere attorno al proprio Paese la solidarietà attiva di tutti i Paesi democratici rendono più difficili i piani del Cremlino, Putin è pero riuscito a distruggere intere città e ha costretto milioni di persone per la loro sopravvivenza ad abbondare il Paese. Ci possiamo aspettare nei prossimi giorni un uso più sofisticato di bombardamenti intensivi che possono portare alle stesse atrocità di massa che hanno insanguinato la Siria e la Cecenia.

Raphael Lemkin, quando introdusse il concetto di genocidio, come spiego nel libro 'Auschwitz non finisce mai' (Rizzoli ), invitò a ragionare sul fatto che un percorso di distruzione che porta all’annientamento di una nazione passa attraverso la messa in discussione di una cultura, lo spostamento di popolazioni. Anche una distruzione parziale di una nazione e di una cultura doveva venire inserita nel concetto di genocidio. Non bisognava essere dunque vigili soltanto sulle distruzioni totali, ma anche su quei meccanismi che generano crimini contro l’umanità che colpiscono popolazioni intere.

Lo stesso Lemkin quando nel 1953 ricordò in un intervento profetico a New York l’Holomodor, la carestia forzata di Stalin che portò alla morte di milioni di contadini ucraini, sottolineò che l’obiettivo della Russia era quello di annientare l’identità culturale del Paese e questo progetto di negazione si era realizzato con milioni di morti ed era poi continuato nel dopoguerra con la dominazione sovietica.

Per questo motivo ritengo che oggi i Giardini dei giusti, avendo come riferimento lo spirito della Convenzione delle Nazioni unite del 1948 contro le atrocità di massa, debbano diventare uno strumento di sensibilizzazione delle coscienze. In questi giorni è infatti in gioco non un alleanza militare o la collocazione internazionale di un Paese, come alcuni fanno finta di credere, ma l’esistenza di una nazione in quanto tale. Bisogna ragionare autocriticamente sul fatto che non siamo stati capaci di leggere in tempo, come scrive Tahar Ben Jelloun, il significato delle bombe russe su Aleppo nel 2014 e la resa di Obama a Putin, quando non reagì all’uso di bombe chimiche su intere città che sfiancarono la resistenza dei siriani, e siamo stati sordi ai moniti di Anna Politkovskaia sulla Cecenia e alle denunce di diversi oppositori politici sulla degenerazione del sistema politico in Russia. Ma anche sul fatto che nella storia come è capitato con Hitler, con Slobodan Milosevic, col capo dei khmer rossi Pol Pot ci possono essere degli individui che con l’uso del potere politico, da un giorno all’altro, possono spingere la storia in una terribile direzione. Qualche volta possiamo prevedere le tendenze, ma qualche volta il male ci sorprende, perché nasce da scelte individuali che si realizzano velocemente senza preavviso come è capitato anche negli Stati Uniti quando Donald Trump ha incitato all’assalto a Capitol Hill. Ma fortunatamente esisteva un contropotere democratico, che nell’autocrazia russa invece non esiste.

Il secondo punto importante riguarda la nostra capacità di dare voce a tutti i russi che dichiarano opposizione alla guerra e parlano chiaro e lottano, con i loro limiti e le oro imperfezioni, per i diritti democratici: da Dmitrij Muratov di 'Novaia Gazeta' al movimento suscitato da un personaggio complesso come Alexei Navalny, dalla giornalista Marina Ovsyannikova alla poetessa Olga Sedakova. Non c’è oggi solo la guerra di Putin agli ucraini, ma quella del dittatore russo nei confronti dei suoi concittadini che, come Antigone, ascoltando la loro coscienza vogliono dire la verità e sfidano delle leggi ingiuste nel loro Paese.

Al tempo del comunismo eravamo capaci di distinguere in modo chiaro il potere politico totalitario dalla società russa, quando valorizzavamo i dissidenti come Andrey Sacharov, Elena Bonner, Andriej Siniawski, Natan Sharansky. Lo stesso procedimento deve valere per l’oggi, perché dobbiamo creare un ponte morale tra i resistenti ucraini e le donne e gli uomini migliori della Russia, perché il nemico non è la Russia, ma il sistema di potere di Putin. Per questo stiamo lavorando per una grande iniziativa pubblica il 3 maggio al Giardino dei giusti di Milano, in occasione della giornata della libertà di stampa che valorizzi la resistenza morale che tra le mille difficoltà di un regime neototalitario si manifesta in questi giorni a Mosca.

Presidente di Gariwo, la foresta dei Giusti