Opinioni

Il direttore risponde. Disperate rinunce, disperanti disattenzioni

giovedì 18 marzo 2010
Caro direttore,la pagina 2 di oggi (17 marzo) mi ha colpito come un pugno allo stomaco. I due editoriali di Camon e Patriciello, con i loro morti del Nord-Est e della Campania mi hanno tolto il fiato, provocato una fitta straziante al cuore. Da Nord a Sud, in punta di piedi c’è della gente che se ne va, che sceglie di morire sopraffatta dall’angoscia intollerabile di non vedere sbocchi alla mancanza di lavoro onesto. Le prospettive da cui i due articoli muovono sono enormemente diverse, ma un imbuto inesorabile le fa scivolare verso il medesimo, tragico epilogo. E così, chi non ce la fa più a reggere una vita di precarietà sempre più disperante si trova accomunato a chi, dopo aver sperimentato una certa qual agiatezza, vede sbriciolarsi tutto e non sopporta di apparire causa di disperazione per i propri dipendenti. Ma forse, ancor più che gli episodi in sé, mi sconvolge l’indifferenza con cui sono accolti. Ciò che Avvenire meritoriamente mette in risalto è un segnale di allarme rosso, che dovrebbe catalizzare l’attenzione di media e politica, imponendosi ai primissimi posti dell’agenda dei problemi da affrontare e invece, niente di tutto ciò. Da settimane siamo strattonati da temi che, confrontati con questo, sono semplicemente surreali. Di fronte a tante persone che si suicidano per le cause che avete descritto, chi se ne f...  dei battibecchi sulle liste, delle ripicche politiche, della baraonda di cui sono protagonisti governo, magistratura, giornali che pubblicano le intercettazioni...  Mi scusi, sono persona che rispetta la legge, ma qui o io sono impazzita improvvisamente, o qualcun altro - molti altri: nella politica, nella società, tra i media... - hanno perso il senso della misura, la capacità (e in qualche caso forse anche l’onestà ) di riconoscere i problemi veri e di dare ad essi la priorità che meritano. Sono davvero sconfortata.

Luisa Merli

Credo che il suo stato d’animo, cara signora Luisa, sia condiviso da molti; che il suo stesso sconcerto e la sua stessa angoscia assedino la mente e il cuore di chi guarda con disillusione e allarme crescenti alla convulsa  stagione di sterili diatribe e di contrapposizioni frontali che il nostro Paese attraversa. Lei sollecita chi ha responsabilità di governo (centrale o locale) e chi siede nelle assemblee elettive a cambiare punto di vista, a sceglierne uno un po’ più simile a quello della gente normale. Quel punto di vista che anche questo giornale s’impegna, ogni giorno, a proporre. Purtroppo ancora non si vedono né s’intravvedono segnali di un salto di qualità che, invece, sarebbe sempre più urgente. E anche se mi costa molto, perché amo il mio mestiere e credo che in Italia ci siano tanti buoni giornalisti, non posso che convenire con lei, gentile signora, sul fatto che anche parti significative del mondo dei mass media stanno facendo ben poco per invertire questa tendenza alla distrazione e al gioco al massacro. Una tendenza terribile, ma che incentivano in molti modi e, in qualche caso, anche con entusiasmo. Tutto questo porta a pensieri amari, ma non può assolutamente spingere alla rassegnazione. E noi di Avvenire, come avrà visto leggendo anche oggi le nostre cronache e i nostri commenti, intendiamo continuare a dar conto di tutto, senza però perdere mai di vista la «stella polare»: offrire opinioni limpide e un’informazione che ha per interesse e obiettivo soltanto quelli di essere corretta e di dare sempre attenzione alla vita concreta delle persone e delle comunità. Per questo ci sforziamo di dare sempre e con onestà a ciascuno il suo. Per questo abbiamo riconosciuto e apprezzato quanto fatto dal governo a salvaguardia dell’occupazione e ogni iniziativa tesa a tutelare lavoratori e imprese in difficoltà. E per questo non cessiamo di segnalare i problemi irrisolti. I tragici episodi di cui continuiamo a prendere preoccupata nota (i due editoriali dai lei citati rappresentavano una sorta di drammatico «bilancio» provvisorio) impongono una più forte assunzione di responsabilità e, dunque, risposte adeguate. Chi sale sui tetti e strilla – e quanti ne abbiamo visti e raccontati – ha ancora quel granello di speranza che lo induce a lottare, a offrire e a chiedere lavoro, ad aspettarsi qualcosa di buono. Chi si uccide senza dire parola e a volte senza avere la forza di lasciare un biglietto ai propri cari denuncia una condizione enormemente più grave, sulla quale bisogna davvero aprire gli occhi. Quale tema, più di questo, merita attenzione in campagna elettorale? O dobbiamo davvero continuare ad assistere a duelli rusticani in Parlamento, in piazza e nei palazzi di giustizia nel nome di regole che sembrano valere quasi solo per gli altri e che, di questo passo, rischiano di non regolare e di non tutelare più alcuno?