Opinioni

Le differenze sociali. «Diseguali» non è abbastanza (la logica da cambiare ora)

Elisa Manna mercoledì 22 giugno 2022

La presentazione a Davos durante l’apertura del World Economic Forum dell’ultimo rapporto Oxfam ha riacceso almeno per un po’ l’interesse sul tema delle diseguaglianze sociali, marginalizzato negli ultimi tempi dall’ansiogeno ritmo dei tamburi di guerra . La minacciosa crisi alimentare ed energetica connessa alla guerra in Ucraina che incombe sul mondo intero magnetizza l’attenzione collettiva sul tema delle povertà. Le diseguaglianze sociali, per essere comprese e affrontate, necessitano però di sguardo diacronico, anche per sfuggire alla tentazione, forte, è vero, di imputare ogni disastro futuro alla guerra in corso in Ucraina. L’ultimo rapporto Oxfam offre da questo punto di vista cifre da brivido: quest’anno sono cadute in povertà estrema altri 263 milioni di persone. E, per converso, la pandemia ha prodotto 573 nuovi miliardari. Questa accelerazione spaventosa delle diseguaglianze, con masse crescenti di diseredati e centinaia di ultramiliardari (nei settori dell’alimentare, della tecnologia, della farmaceutica, delle armi) mostra ormai tutta la sua drammatica verità; ed è evidente che questa terribile fase nella guerra russo-ucraina opererà un’ulteriore torsione di tale imponente processo di polarizzazione, con ancora nuovi miliardari di guerra e nuove schiere di infelici che hanno perduto tutto.

Ci vorrebbe la prosa potente del Nobel Steinback per farci sentire risuonare dentro cosa vuol dire morire di fame, guardare i propri figli, i propri vecchi sfinirsi di consunzione. Ma, non essendoci al momento novelli Steinback, può tornare utile uno sguardo, se non ispirato, per lo meno storicizzante, che ci aiuti a ricordare cioè, che cosa c’era prima che la congiunzione maledetta del Covid e della nuova guerra d’Europa producesse danni tanto gravi. Se si sfoglia, ad esempio, il rapporto della Caritas di Roma dello scorso anno si ritrovano nella parte di scenario le stime della Banca Mondiale. Il mondo, si diceva già nei precedenti rapporti della Banca mondiale, è ben lontano dall’obiettivo globale di ridurre la povertà estrema (stimata a 1,9 dollari al giorno pro-capite) sotto il 3% della popolazione entro il 2030, come auspicato dagli organismi internazionali. In effetti, il Covid insieme ai tanti conflitti e alle tante crisi climatiche (siccità, carestie, inondazioni) stava invertendo quel processo evolutivo e arrivava nell’ottobre del 2020 a un aumento di 100 milioni di persone in condizioni di povertà estrema. E si precisava: se nel 2020 il 40% dei poveri del mondo viveva in Paesi martoriati da conflitti e fragilità, nel prossimo decennio, dunque entro il 2030, tale quota sarebbe arrivata intorno ai 2/3.

La verità è che il Covid ha funzionato da detonatore per una miscela micidiale prodotta dal cambiamento climatico e dai conflitti sparsi per il mondo (la «guerra mondiale a pezzetti» secondo la profetica fomula di papa Francesco) con effetti disastrosi nello sforzo delle istituzioni di affrancare milioni di infelici dalla povertà. Nel 2020 altri organismi e altre istituzioni non erano da meno e lanciavano l’allarme: la Fao stimava altri 130 milioni di esseri umani in condizione di fame cronica e la stessa Oxfam prevedeva una forbice da più 83 a più 132 milioni da aggiungere ai 690 milioni che già ne soffrivano. Il Fondo Monetario Internazionale stimava l’impatto Covid a +500 milioni di persone con meno di 5 dollari al giorno. Save the Children stimava a +86 milioni i bambini in famiglie povere.

Ci si chiederà, perché soffermarsi su cifre 'vecchie' di oltre un anno? È che dobbiamo tenere bene a mente che il disastro mondiale davanti ai nostri occhi non nasce dalla congiuntura malefica Covidguerra ma è figlio di un modello di sviluppo ebbro e sregolato: decenni di euforica liberalizzazione, monopoli più o meno dichiarati , paradisi fiscali, connivenze e occhi che si chiudono, politiche del lavoro che penalizzano la sicurezza sociale dei lavoratori, indifferenza, sfruttamento, disparità salariale, pragmatismi senz’anima. Se non vogliamo che il termine diseguaglianza sia soppiantato dall’immagine più realistica di qualche centinaio di imperatori economici planetari incombenti su masse di diseredati senza futuro, dobbiamo «cambiare logica» e dialogare, come dice il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi «nell’unica vera lingua universale: l’amore».