Opinioni

Si fa presto, e male, a dire «aborto» (L'umiltà e l'amore che ci servono)

Marco Tarquinio sabato 20 febbraio 2021

Caro direttore,
in questi giorni sto provando un senso di smarrimento e di profondo dispiacere nell’assistere all’ennesimo scontro tra i "movimenti per la vita" e "i movimenti per i diritti delle donne". Senza girare troppo intorno alle parole, questi si traducono in movimenti "anti-abortisti" e "pro-abortisti", commettendo così, in maniera non so quanto consapevole da una parte e dall’altra, uno degli errori più clamorosi che si possa commettere in termini sia sociali che religiosi. La mia impressione è che il problema sia posto su piani completamente sfalsati e che sia difficile così costruire una discussione autentica che abbia come oggetto la vita e il rispetto per essa.
L’aborto è un dramma in qualsiasi forma venga praticato, ma se non vogliamo che si traduca in tragedia prima di tutto non dobbiamo dimenticarci che l’aborto è anche spontaneo e che le donne, loro malgrado, hanno a serio rischio la salute fisica e psichica, vivendolo per quello che è, cioè una grave perdita, un vero lutto. Questo viene dimenticato o sottaciuto dall’uno e dall’altro fronte che parlano di aborto intendendo esclusivamente l’aborto volontario, quello di cui avrebbe solo colpa o diritto la donna, quello da cui è più facile prendere le distanze, quello che viene sbandierato come un diritto di autodeterminazione della donna (lo stesso diritto di darsi un’accettata in testa), quello che fornisce più alibi agli accusatori, quello che spacca di più i fronti e fa sì che i più deboli siano stritolati lì in mezzo.
Pensiamo a un caso concreto, a una donna incinta che in piena notte si trova in un lago di sangue. Chi è questa donna? Su quale fronte si trova? Sta subendo un aborto o lo ha causato lei stessa? Il marito è ignaro o è complice, o è addirittura artefice? Chi sono i medici che intervengono (se intervengono)? Sono autorizzati o meno a farlo? Possono negarsi essendo obiettori di coscienza o perché rischiano di essere incriminati? Chi assiste? Persone competenti e coscienziose o gente senza scrupoli disposta a fare qualsiasi cosa per soldi? Domande su domande con al centro una donna e il suo bambino, la vita e la salute dei quali dipende da un mare di risposte. Giudizi più che risposte. Sentenze morali, sociali, religiose e, quel che è peggio, ideologiche. Quest’ultima è particolarmente deleteria perché falsa. Nessuna donna potrebbe essere in grado di scegliere preventivamente e deliberatamente una soluzione così drammatica per non avere figli. Nel cuore e nella mente della donna non esiste alcuna teoria che permetta una scelta simile.
Ma purtroppo questi drammi avvengono lo stesso, e a volte, senza omissioni di responsabilità da parte soprattutto della donna, sono anche volontari. Sono peccati e in questi termini la religione interviene a rivendicare il proprio ruolo, ed è in virtù di questa legittimità che sarebbe necessaria una maggiore apertura al dialogo, un approccio meno sentenziale, un’attenzione diversa verso le donne e verso la maternità. Ho ascoltato recentemente l’omelia di un vescovo cattolico che, parlando della necessità dell’unità di tutte le Fedi cristiane, ha detto che «il cristianesimo non è una ideologia» ma un percorso da fare insieme. Con questo pensiero profondo ha spiegato che le ideologie portano a divisioni e a integralismi. Sarebbe bello che la pensassero allo stesso modo entrambi i movimenti, che ammettessero finalmente che non sono in atto guerre ideologiche, ma solo sventure umane da affrontare ognuno con la propria responsabilità e tutti con la stessa volontà di superarle in bene.
Pina Modestino


Vorrei, gentile e cara signora Pina, che tanti uomini avessero il suo sguardo sulla realtà dell’aborto, il suo ascolto della realtà e la sua consapevolezza. E vorrei che proprio tutte le donne avessero la sua volontà e capacità di scuotere e farsi capire. Non mi illudo: più di qualcuno e di qualcuna, uomini e donne, non comprenderà lo stesso. Per l’amara e dura piega che ha preso il dibattito pubblico sulla questione è difficile ascoltare e cambiare, per quanto questo è possibile (e molto si può e si deve fare). L’aborto – divenuto sinonimo della prematura fine «per scelta» (e non solo più per cause naturali) della vita nascente di un bimbo o di una bimba – è una tragedia che, dividendo, continua a incidersi con dolorosa intensità in tutte le grandi ferite e le grandi domande sulla vita e sulla morte, sulla libertà e sull’amore. In qualche modo addirittura le riassume. Non per nulla Teresa di Calcutta, madre e santa anche per un’infinità di persone non credenti e per questo insignita del Premio Nobel per la Pace, pone l’aborto nel cuore stesso della mentalità che produce la guerra, in tutte le sue forme. E però esattamente come nell’impegno per costruire la pace, non ci si può fermare – come lei, cara amica, non si ferma – a questa sconsolata considerazione.
Due cose soltanto mi sento, qui, di sottolineare riguardo ad altrettanti interrogativi tra quelli che lei pone. La prima sul ruolo dei medici nelle situazioni abortive non chiare o, comunque, al "confine" di legge civile e morale: da giornalista osservo la realtà italiana ormai da anni, e non conosco medici obiettori che abbiano negato soccorso a una donna a rischio di vita a causa di un aborto. In casi saliti alla ribalta delle cronache, a volte, si sono letteralmente "costruite" situazioni simili, quasi sempre all’interno di un’assurda e pericolosa polemica contro l’istituto dell’obiezione di coscienza, ma solo in un caso, a mia memoria, un medico ha meritato provvedimenti (prova ulteriore che l’obiezione è giusta, e nulla ha a che vedere con la diserzione dai doveri) per la scelta di non agire in soccorso di una donna che aveva abortito e che si ritrovava in incombente pericolo. La cura della vita è grande e bellissimo imperativo morale, che purtroppo e in molti modi è da tanti e tante ignorato e contraddetto, ma che sempre e comunque ci riguarda tutte e tutti, medici e no. La seconda è sull’atteggiamento della Chiesa: sono felice, e ne ringrazio Dio, di rendermi sempre più conto che il magistrale e fermo no all’aborto è accompagnato con crescente chiarezza dalle parole e dai gesti di un’attenzione materna alla donna che lo ha vissuto.
Spero anch’io che riusciremo a vedere il giorno della buona volontà nel quale saremo liberi dalla "leggenda nera" della morte come diritto e come marchio e persuasi, con i nostri umani limiti, del valore semplice e fondamentale della vita. Auguriamoci, come persone e comunità, di avere amore, umiltà e forze per fare quel giorno vicino.