Opinioni

Riforma errata e che si può correggere. Diamo giustizia a tutti i minori

Luciano Moia venerdì 29 ottobre 2021

«Ah, fai il minorile? Vabbè, potrai sempre cambiare in futuro». In questa frase, detta con tono tra lo stupito e il condiscendente, che tanti magistrati che si occupano di minori si sono sentiti rivolgere da un collega almeno una volta in carriera, c’è la considerazione con cui all’interno della categoria si guarda a quel settore della giustizia che cerca di ricucire gli strappi della vita in cui sono coinvolti i bambini e i ragazzi più fragili. Non deve stupire quindi che la parte dedicata all’ordinamento minorile della riforma della giustizia sia stata messa in piedi in poche settimane, senza ascoltare i diretti interessati, addirittura con un emendamento in Commissione. Eppure l’obiettivo, come riconoscono tutti gli addetti ai lavori, è condivisibile. Istituire un Tribunale della famiglia, in cui raccogliere tutti i procedimenti che riguardano genitori e figli, è un sogno rincorso da anni. Purtroppo, però, il modo con cui sta nascendo questa struttura non soddisfa nessuno degli esperti – magistrati, garante per l’infanzia, esperti di scienze umane, avvocati – che si occupano di questa delicatissima materia. Perché il magistrato minorile non stabilisce torti o ragioni, ma cerca di risolvere, col minor danno possibile, situazioni familiari frammentate e dolorose, spesso segnate dalla conflittualità coniugale e/o lacerate dall’incomprensione tra genitori e figli.

In questi ultimi anni una parte considerevole dei casi che giungono alle procure minorili, autentici avamposti sociali prima che giuridici, in cui si misura tutta la frammentarietà e la fatica delle famiglie più vulnerabili, sono rappresentati da minori stranieri. C’è il caso della ragazza islamica che cerca di ribellarsi alla pressione identitaria imposta dalla famiglia e che, quando arriva davanti al magistrato, dopo incertezze e timori che è facile immaginare, per una sorta di fedeltà resistente a ogni sopruso, racconta l’indispensabile, lasciando solo immaginare quello che ha sopportato. Durante il lockdown ci sono state famiglie immigrate con quattro o cinque figli minori che hanno trascorso i mesi più duri dell’isolamento in due stanze di 40 metri quadrati. I magistrati hanno ascoltato storie di ragazzini scovati di notte da soli a vagare in città che, per giustificarsi, non hanno trovato di meglio che accusare i genitori di violenze. Spesso, dopo averli ascoltati a lungo, anzi dopo aver interpretato al meglio i loro silenzi densi di rabbia con l’aiuto di psicologici e neuropsichiatri, che oggi affiancano i magistrati e domani con la riforma non ci saranno più, si è capito che dietro quei gesti c’era talvolta solo la voglia di uscire dalla casa in cui si era confinati.

In questi frangenti la responsabilità del giudice minorile è enorme. Tocca a lui stabilire se dietro quel disagio manifestato in modo tanto clamoroso c’è davvero una famiglia inadeguata, indifferente, o addirittura abusante. Oppure se si tratta di uno dei tanti volti di quell’emergenza educativa con cui tutti dobbiamo fare i conti. È un lavoro spesso oscuro e sempre prezioso quello del magistrato minorile, troppe volte portato avanti in condizioni difficili, con organici inadeguati e strumenti tecnologici inesistenti. Non a caso, parlando della considerazione in cui è tenuto il lavoro di questi magistrati, il settore minorile è l’unico non ancora informatizzato. Si viaggia con faldoni e cartellette come al tempo che fu.

Non stupisce, allora, che all’interno della magistratura il lavoro con bambini e ragazzi non sia tra i più appetibili. E non stupisce neppure il fatto che le decisioni di questi magistrati, spesso lasciati senza supporti adeguati, vengano sempre più spesso contestate, a torto o a ragione, dalle famiglie coinvolte. Ma il "caso Bibbiano", di cui vedremo gli esiti giudiziari nei prossimi mesi, potrebbe essere solo il prodromo di quello che capiterà quando le incombenze oggi affidate a collegi multidisciplinari altamente specializzati, saranno moltiplicate per cento con processi di separazioni e di divorzio, contenziosi patrimoniali e tanto altro, e finiranno sulle spalle di un solo giudice senza preparazione specifica. È questa la tutela che vogliamo per minori, i figli più fragili della nostra società? Pensiamoci.